martedì, ottobre 30, 2007

Lascio tra queste pagine una poesia di Borges...Buona lettura.

Se potessi vivere di nuovo la mia vita.

Nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto non lo sia già stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.

Correrei più rischi, farei più viaggi,
contemplerei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.
Andrei in più luoghi dove mai sono stato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali,
e meno problemi immaginari.

Io fui uno di quelli che vissero ogni minuto della loro vita sensati e con profitto;
certo che mi sono preso qualche momento di allegria.
Ma se potessi tornare indietro, cercherei di avere soltanto momenti buoni.
Chè, se non lo sapete, di questo è fatta la vita,
di momenti: non perdere l'adesso.

Io ero uno di quelli che mai andavano da nessuna parte senza un termometro,
una borsa dell'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.
Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e resterei scalzo fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri in calesse,
guarderei più albe,
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.

Ma vedete, ho 85 anni e so che sto morendo.

Jorge Luis Borges

lunedì, ottobre 15, 2007

Indifferenza

Mercoledì 3 Ottobre, ore 7.30circa. Seduta in autobus a Padova ho assistito a questa scena:

Per il traffico l’autobus era fermo in coda davanti alla stazione dei treni.
Un folto gruppo di pedoni aspettava lo scatto del verde del semaforo pedonale. Il verde scatta e questa “mandria” inizia ad attraversare la strada. Tra loro c’è anche un signore (sulla quarantina penso) cieco, con tanto di bastone bianco. Nella zona stanno facendo dei lavori sulla strada e quindi, perpendicolarmente alle strisce pedonali, subito a fianco di esse , hanno messo una lunga rete metallica che impossibilita l’attraversamento della strada se non si è esattamente sopra le strisce.
Il signore cieco, probabilmente perché c’è molta gente che sta attraversando, si porta un po’ più lontano dalla folla, uscendo di poco dalle strisce. Purtroppo però proprio dalla parte dove si trova la rete. Così arriva all’altezza della rete e ci sbatte contro. Allora con il bastone prova ripetutamente a capire cosa lo ostacola e soprattutto cerca di trovare la fine dell’ostacolo per poter proseguire.
Posso assicurarvi che la scena era alquanto straziante. Il tutto è durato per parecchi secondi e nonostante la gente lì vicino fosse TANTISSIMA, nessuno si è fermato per aiutarlo a trovare la “strada giusta”. Un ragazzo di colore che si trovava a parecchi metri di distanza, quando ha visto che tutti schivavano il signore cieco facendo finta di niente (è impossibile che non se ne fossero accorti perché gli passavano a un centimetro di distanza), è scattato di corsa e lo ha aiutato ad attraversare la strada.
Dopo un primo momento in cui (pervasa da un gran nervoso per il comportamento delle persone e per non aver potuto intervenire sebbene fossi stata lì a pochi metri) ho insultato tra me e me il mondo, sono stata colta da una profonda tristezza. Possibile che nessuno si sia fermato per aiutarlo? Non c’era niente di rischioso, compromettente, vergognoso o chi sa cosa da fare. Bastava semplicemente aiutare il signore a fare un passo più in là. Non riesco a capire proprio. Se per aiutare una persona sconosciuta devi rischiare la vita, posso anche capire che ci pensi due volte prima di intervenire. O anche se per aiutarla devi fare qualcosa di imbarazzante posso capire (capisco ma non giustifico!). Ma qui la situazione non richiedeva niente di tutto questo. Ma allora cos’ha impedito a tutte quelle persone di non aiutare il signore cieco? Cosa le ha bloccate? Non sono ancora riuscita a darmi una risposta logica e sensata...siamo davvero così egoisti e poco sensibili verso il prossimo? Chissà se qualcuno di quei passanti si è chiesto poi se era giusto quello che aveva fatto (o meglio NON aveva fatto)? Se almeno uno si sia poi sentito almeno un po’ in colpa o tutti si sono dimenticati un secondo dopo quello che avevano visto?

ilaria

domenica, ottobre 14, 2007

frammenti di Bosnia

Prima di partire per la Bosnia ho raccolto alcune informazioni, di chi ci era già stato e di chi ha scritto qualcosa su questa nazione…non ho voluto informarmi troppo, anzi non ne avevo nemmeno la voglia e la necessità; preferisco andare e scoprire un po’ per volta quello che dovrò scoprire.

Nel bel libro “Infiniti Balcani” che stavo leggendo nei giorni prima di partire, ho letto un proverbio slavo che dice: “dopo qualche giorno in un paese straniero si è talmente certi di aver capito tutto che è difficile resistere alla tentazione di dedicargli un libro; se in un paese ci si resta per qualche mese tutt’al più ci si arrischierà a pubblicare un breve articolo; se la permanenza si protrae oltre, con ogni probabilità non verrà scritto nulla”.

Personalmente in sei giorni di permanenza in Bosnia mi sento solo di scrivere senzazioni che ho vissuto direttamente, metro dopo metro dalla sella della bici…senzazioni che prendono forma dall’intreccio di visioni, profumi e rumori…dalla stanchezza, dalla fame, dal piacere dell’incognito e da un compagno di viaggio tosto come pochi.

Singolare il primo alloggio, da un benzinaio che affittava camere sopra la sua officina…una stanza semplice, essenziale ma accogliente, tre caratteristiche che ho costantemente ritrovato nei luoghi e nelle persone durante tutto il tragitto:

…case di mattoni senza malta, case con malta, colline verdi, prati sfalciati, auto praona (meccanico), vecchiette con velo e gonna nere, bar, ristoranti con il maialino che gira arrostendo, terrazze senza ringhiera con tavolino e sedie sospese nel vuoto, terrazze con ringhiere senza tavolini e sedie, vecchiette che sfruttano passaggi in trattore, sguardi perplessi nei confronti delle bici cariche di borse e di chi ci sta sopra, alberi di mele, lattine di red-bull lungo il bordo della strada, gruppi di persone fuori dai bar o dalle baracchette-supermercato, sigarette, birra, grappa sligoviz, pane (kruh), galline, maiali nei cortili, persone che tagliano grossi ceppi di legno in vista dell’inverno, bambini e bambine che escono da scuola, fermate dell’autobus, camionisti impazziti a forte velocità, macchine vecchie, macchine nuove, carretti trainati da cavalli, indicazioni stradali in cirillico all’interno della repubblica srpska, moschee, caffè espresso, caffè bosniaco (turco), scheletri di case, giardini senza recinto, giardini pieni di fiori, paesaggi montani con mucche e capre al pascolo, il proprietario di un baracchino-bar che ci prepara il tavolino con tovaglia e ombrellone per farci stare all’ombra mentre mangiamo pane, formaggio e semi di girasole appena comperati da lui, donne corpulente, canestri da basket nei giardini delle case, strada in salita fino al passo, dabor dan (buongiorno), dovijinia (arrivederci), pet (cinque), “italiani? Ciao, come stai?”,tronchi come pali della luce, lavori stradali, fiumi che inghiottono rifiuti, vallate, cave, campi di mais, cavolfiori, peperoni, pozzi, pochi cellulari, poche strutture turistiche, semafori, niente rotonde, tubi di scappamento, musica balcanica-turca, paesi senza piazza, fabbriche di legname, strade ben asfaltate, cartelli con conteggio progressivo dei chilometri lungo tutte le strade principali, sguardi che si incrociano per lunghi secondi, grosse inquietanti fabbriche abbandonate, cartelli pubblicitari, patatine chipsi, stazioni di benzina all’avanguardia, fiume che scorre accanto alla strada, cabine telefoniche, ruota che gira, testa che chiama una pausa caffè….

….a SARAJEVO: donne e ragazze con il velo, musica araba e orientale, fumo dei cevapi, ponti, bascarsija (il centro storico) con bancarelle e locali lungo le sue via di pietra rosa, bar turchi, scritte arabe, cattedrale, moschee, minareti, pekara (panetteria), scolaresche con guida davanti e addetto alla sicurezza dietro, periferia con palazzoni e bambini ai semafori, edifici abbandonati, fiume, banche, buchi di proiettili nelle case e nei palazzi, cimiteri mussulmani con lapidi bianchissime
lungo le strade, alberi, vicoli, piazzette, biblioteca nazionale, stazione centrale dei treni vuota, internet-caffè, profumo di narghilé, locali notturni, fiume di giovani di sera nelle vie del centro, buchi lasciati dalle bombe (ricoperti di cemento rosso per ricordare il sangue della guerra) nei marciapiedi, fedeli che pregano seguendo la voce del muezzin, ramadan, integrazione, punto panoramico, bus, tram, thè al baretto vicino alla stazione dei taxi, indifferenza, mercatino dell’usato nel ponte, compratori di conigli, fila per la mensa comune,gente che ride, treno che parte…


federico

sabato, ottobre 13, 2007

Perugia-Assisi 2007

-Cosa vai a fare- mi ha detto mia madre la sera prima di partire -Tanto non cambierà niente come sempre-. -Ma che guerre ci sono attualmente per cui andare a marciare- mi ha chiesto mio fratello. Con queste premesse sono partito domenica 7 ottobre alle 3.30 con Ilaria e altre persone per la Marcia della Pace Perugia-Assisi 2007. Ammetto che sono partito non completamente consapevole del valore simbolico di quello che stavo andando a fare e l’avevo presa quasi come una gita (Ilaria e le sue amiche invece erano già entrate nell’atmosfera della marcia dopo che si sono trovate per dipingere delle magliette che hanno poi indossato).
TUTTI I DIRITTI UMANI PER TUTTI: questo è stato lo slogan che ha accompagnato la marcia di quest’anno. A me era arrivata una mail di una associazione legata al Tibet che invitava a vestirsi di rosso in solidarietà al popolo dell’ex Birmania oppressa da una dittatura militare (comunista, come hanno precisato “certi” giornali, come se avesse importanza; una dittatura è sempre una dittatura). Così ho indossato una maglia rossa (ovviamente firmata, non avevo altro di rosso; d’altronde anch’io predico bene e razzolo male) e ho potuto osservare che molti altri l’hanno fatto. Abbiamo fatto quasi tutto il tragitto; non siamo riusciti però ad arrivare ad Assisi centro, sia per la stanchezza (dopo quasi 20 km) sia perché la corriera ci aspettava per il ritorno a casa.
Gente diversa, associazioni diverse, bandiere diverse, striscioni diversi ma tutti uniti da un obbiettivo comune: LA PACE. Ogni persona ha il proprio modo di manifestare e portare avanti la sua idea di pace: chi si batte perché l’acqua non diventi una merce, chi difende la causa di 5 prigionieri politici cubani detenuti in USA, monaci che sensibilizzano sul problema birmano e del Tibet, scout da tutta Italia sia laici sia legati alla religione, studenti delle scuole superiori e dell’università, chi vuole le bombe atomiche fuori dall’Italia, chi difende i diritti dei lavoratori, chi quelli dei disabili, chi difende l’ambiente, chi osserva dalle finestre, chi vuole liberarsi dagli OGM, chi dalla mafia (associazione LIBERA), Emergency, Amnesty International, Sinistra ecologista, CGIL, Comunisti italiani, Acli, Arci, Verdi, Ong da tutta Italia, i No dal Molin.
L’atmosfera che ho respirato è stata davvero fantastica e la gita si è trasformata in una giornata sì di festa ma con la consapevolezza che tutti noi possiamo e dobbiamo impegnarci per costruire giorno per giorno e passo dopo passo un qualcosa di migliore, ognuno con le lotte (non violente) e le idee che porta avanti per poi tutti insieme manifestarle in giornate come questa. L’unica cosa che mi ha fatto riflettere è stata la presenza non indifferente di rifiuti lungo i fossi (tra me e me avevo proposto di fermarsi tutti e di ripulire; si sarebbe fatta una bella cosa e con pochissimo sforzo) e il fatto che molti volantini che venivano consegnati durante la marcia finivano per terra. Ecco, per me la pace è anche rispettare l’ambiente e anche se poi qualcuno avrà pensato che tanto qualcun altro passerà a ripulire,beh iniziamo noi a farlo! I piccoli passi sono quelli che contano!
W LA PACE!