Le foglie precedono I miei passi; scivolano
frusciando sui marmi bianchi sotto l’Arco della Pace e vanno ad infilarsi tra
le sbarre dei cancelli laccati di verde, la’ dov’e’ la mia meta, la’ dove e’
arrivata per ora solo la mia curiosita’; ma non il mio sguardo.
La Torre Branca lancia I suoi nervi
d’acciaio nel vento di un fine febbraio
gemmato e getta in terra le sue geometriche ombre a lasciare sul selciato
labili e decisi disegni neri.
Mentre le foglie secche si infiltrano tra
le sbarre io, scegliendo il sole scelgo anche di entrare per la porta centrale,
lascio la via delle feritoie e prendo quella larga della luce.
Luce calda, arancione cristallina che
rimbalza su tutto: e’ un palcoscenico brulicante, imbandito di tutto, di tempo,
di razze, di animali, di colori, di cibi, di giostre, di palloni, di alberi.
Una luce dal desiderio talmente bulimico da
voler dare forma e colore all’impercettibile.
I pensieri che filtrano dalle bocche
diventano tangibili, quando lui pensa all’aquilone gia’ se ne sente il
frusciare, quando lei s’interroga sulla sua attraenza, c’e’ gia’ chi si e’
ipotecato gli occhi, quando tutti immaginano la primavera la pelle bianca si
imbarazza al sole;
I pensieri che filtrano dai denti sono gia’
suoni ed e’ un carrilon che riporta le vibrazioni da ogni dove;
gli odori strappati dal vento alle
caldarroste si mischiano alle crème solari e al sudore, l’incenso con il prfumo
di hashish e di paraffina, le carte unte di improbabili frittelle con I dolci
profumi sul collo delle ragazzine;
non rimane in ombra neanche la passione:
e’dipinta su un telo arancione da gambe che si incrociano in fuso gialli e blu,
da dita che si intrecciano ad invitare le lingue, che poi portano I loro
orecchini piu’ vicini a lampeggiare assieme, uno strobo per celebrare la danza
d’Amore, uno strobo che prende vita tra I capelli ricci di lei e quelli corti
di lei.
Non c’e’ piu’ fisica, la chimica si ritira,
per oggi s’inscena la confusione del risveglio.
Non c’e’ piu’ regola se non quella del
risveglio.
E l’unica regola che gioca nel risveglio e’
quella della Vita che prepotente squarcia il buio, la notte, il freddo e persino
I massicci muri del Castello Sofrzesco.
Il campetto da basket non e’ piu’; ne
rimane una pantomima, un surrogato, una parodia, in cui nel rubarsi una palla,
le braccia fasciate dai stretti polsini delle camice s’intrecciano a braccia
che sbucano da canottiere; friggono sul linoleum le nike e le prada, le scarpe
di cuoio e le snikers; le dottor martins giocano invece ai bordi del campo, attaccate
all’estremita’ di corpi molli, morbidi, getati nel bagno d’erba e di sole.
Tutto il resto e’ in aria, l’inverno ha
tenuto tutto troppo a terra e I capelli, volano, le voci volano, le palle
volano, le parole volano, gli idiomi volano ed esce tutto insieme al calore dei
corpi liberati dalle pesanti giacche.
C’e’ voglia di gioco, ci si rincorre, ci si
procede e ci si aspetta, la sincronicita’ vince sulle reazioni, oggi le cose
accadono non vanno fatte accadere, e accadono assieme, accadono lontane,
accadono vicine, c’e’ solo da aspettarle, c’e’ solo da accoglierle:
un bacio previene una domanda, le corde
della chitarra vibrano prima che la mano nera le sfiori, il profumo d’incenso
prima che la fiamma lo bruci, il sorriso aspetta gia’ divertito la battuta, le
foglie, sempre loro si fermano sui rami a salutare le gemme, l’amore promette I
letti e I letti si fanno trovare tra gli alberi.
Non c’e’ piu’ Dio fuori, Dio e’ dentro,
dentro tutto, fino alla gola del cantante cui il venditore ambulante ha
costruito intorno un altare di bastoncini di incenso che fumano.
Dio e’ caduto, si e’ frantumato in mille
pezzi conficcandosi ovunque; Dio non ha piu’ nostalgia oggi, si e’ reincarnato
senza angeli, riavvicina I suoi pezzi sparsi in mille corpi che riaccorpandosi ballano
assieme ridandogli vita e lui ringrazia tenendo il sole ancora un po’ alto
all’orizzonte.
Non c’e’ piu’ eta’, le rughe rincorrono la
stessa palla rincorsa dai magrebini che nei maglioni a scacchi si distraggono dalle flessioni
sulle braccia.
Non c’e’ piu’ colore dal momento che il
colore e’ ovunque; in una citta’ grigia il colore della pelle discrimina, in
una citta’ piena di luce il colore della pelle e’ solo un colore.
Come l’Amore e’ solo amore, e allora ci si
massaggia, ci si bacia, ci si rotola, ci si stende la Colonna vertebrale tra
gli alberi, ci si legge, ci si racconta e se e’ il caso poi ci si innamora in
un finale scontato come la primavera.
I bimbi non hanno spazi, hanno tutto, chi
corre non ha una pista ha I piedi, chi legge raccoglie le parole staccato dal
vento dalle pagine, per ritrovarle vive addosso a chi appartengono.
Io lo so.
Lo so che non me lo dici perche’ odi la
banalita’.
E lo so che non me lo dici perche’ sai che
anch’io non la sopporto.
Ma a me piace rimetterti le parole in
bocca, prenderle ad una ad una, piegarle e rificcatele tra le pieghe delle tue
mura, tra le crepe dei tuoi monumenti per poi sognarmele sospinte dal vento
nelle orecchie.
Che mi dicono che mi ami.
E Milano, lasciatelo dire, fanculo a
Londra, Atlanta e Parigi; Milano fanculo a Parco Guel, al Serpentine e ad Hide
Park; Milano come tutte le belle donne, lasciati scoprire piano, continua la
tua ritrosia nei cortili abbandonati, nelle cascine nascoste, nei bar segreti,
nelle ringhiere dmenticate.
Milano lascia che guardino le tue luci e I
tuoi gioielli e che sputino ancora sui tuoi errori.
Milano lasciali fare e continua a non
elemosinare quel cuore che tieni in mano.
E di questa pace che ho fatto con te non ne
faro’ parola, anzi continuero’ ad insultarti per poi venire io si ad elemosinare
il tuo calore di metropoli tentacolare e grigia.
Verro io a chiederti camini caldi su cui
versare lacrime nei rigidi inverni di Torchiera.
Verro io a chiederti ancora una volta di
farmi ascoltare quegli usignoli che gia’ nascono con la raucedine.
Verro’ ancora io, si io ad elemosinare a te
di farmi sentire tuo.
Verro’.
Ma per ora mi basta e mi bastera’ per un
po’ questo film che’e’ durato il capitolo di un libro, una una
passeggiata di 20 minuti, uno di quei film che solo tu metti in scena, con il
tuo stile detestabile:
Senza programmazione.
Lele