giovedì, marzo 01, 2007

Africa














ho vissuto 20 giorni nella Repubblica Democratica del Congo, ospite di Beppino, prete Missionario cugino di mia madre, che io chiamo "zio"...la città è Bukavu in riva al Lago Kivu, una zona montuosa, fertile, verde, con molta acqua.

Riporto la lettera che mi "zio" mi ha chiesto di scrivere come resoconto:



"PRIMO GOL IN AFRICA"

Da Roma ad Addis Abeba non ho mai dormito tale era l’emozione di poter scorgere l’ Africa dall’alto; poi l’arrivo a Bujumbura (Burundi) e tutto è cominciato…quante mani ho stretto, quante risposte ho dato, quanti verbi in francese ho sbagliato a coniugare.Le strade delle città, piene di gente, sono come vene che trasportano il sangue in giro per il corpo…e la senzazione è proprio di una grande vitalità, si viene risucchiati tra la gente e trasportati da sguardi, colori, odori, lavori, mercati.Gente che trasporta l’impensabile sopra la testa e che vive a contatto con la terra…situazioni impensabili se paragonate al nostro mondo, quasi insopportabili e ingiustificabili se si vogliono confrontare con le nostre abitudini; e allora credo che bisogna vedere senza paragonare, capire che si è in tutt’altra situazione…dove avere 9-10 figli è una cosa normale.E’ difficile oscurare le aspettative e lasciare spazio a cio’ che si vede senza restare delusi o meravigliati; nelle città cercavo sempre di capire dove si trovava la piazza centrale, una zona pedonale, la stazione dei treni…tutte ricerche vane, tutti ricordi che mi portavo dietro dall’Italia. Ma qua siamo in Africa, punto e basta; e non in un’Africa che dovrebbe assomigliare all’ Italia. E allora tutto acquista più senso e il solo fatto di guardare fuori dalla finestra diventa una cosa speciale: bambini che giocano, gente che vende qualsiasi cosa, mamme con i figli legati dietro alla schiena, donne che trasportano carichi enormi piegandosi per restare in equilibrio.Con alcuni ragazzi del posto sono riuscito ad attraversare vari quartieri della città, passando tra le case, su sentieri strettissimi, fatti di terra e fango, con porte di ferro usate come ponticelli per attraversare piccoli rigagnoli che scendevano dall’alto; sono passato tra i cortili delle case osservando le mamme preparare il cibo, lavare e allattare. Sentivo la musica della tv fuoriuscire dalle numerose baracche di legno dei parrucchieri, e poi caffetterie, piccoli ristoranti e alimentari…ogni spazio e ogni baracca puo’ diventare un piccolo mercato o negozio.Una città dove la gestione politica sembra assente e la natura prevalere; le case crescono accanto a bananeti, polenta, piccoli terreni coltivati a manioca (uno dei loro alimenti principali). Sono situazioni che raccontate singolarmente non rendono l’idea e che prendono forma se viste globalmente e contemporaneamente.I piccoli villaggi sono circondati da una natura incontaminata, rigogliosa e spontanea, dove non c’è niente in più del necessario e dove la luce del sole o la pioggia, regolano la vita di ogni giorno. Con i ragazzi di uno di questi villaggi, dove le case sono fatte con fango, rami ed erba secca, ho organizzato una partita di calcio: con quattro pali piantati per terra si son fatte le porte, si è recuperato un pallone bucato e si è giocato. Ha vinto la mia squadra 1-0, gol mio…gol del “muzungo” (il bianco)…l’unico che si smarcava per avere la possibilità di restare solo davanti alla porta, tutti gli altri erano ammassati sulla palla…l’idea di restare soli sembra non faccia parte delle loro abitudini…”primo gol in Africa”, prima esperienza in questo enorme continente, in questa piccola parte del Congo dove ho intravisto gioia, miseria, fatiche, sorrisi, sguardi, rughe, terra, sole, pioggia, fango, fiumi, alberi, laghi, animali, monti…dove i bambini mi indicavano e mi guardavano a bocca spalancata perché avevo sbagliato il colore della pelle e dove i più grandi, molto spesso, speravano di trovare in me un aggancio per migliorare la propia situazione, con la speranza magari un giorno di poter mettere piede in Italia.Ho visto una vita difficile, fatta di sforzi fisici, dove quasi tutto deve essere fatto a mano, dove il cibo è scarso e da condividere e dove la luce e l’acqua corrente sono cose per pochi…e ancora ho visto abiti da festa, chiese strapiene, chierichetti danzare, cori cantare, gente ballare, ragazzi studiare…iniziative bellissime, gestite da missionari, suore e laici. Le parrocchie sono veri punti di riferimento per la gente della città e dei villaggi e questo si nota dal grande rispetto e cordialità che la gente del posto ha nei confronto dei “Padiri”.Ho imparato a conoscere la modestia di mio “zio” Beppino e so che non vorrebbe che io parlassi di lui e quindi dico solo che è una grande persona, umile e decisa, che ha fatto e continua a fare grandi cose, e chi lo conosce lo sa.Non posso che ringraziare lui e tutti quelli che mi hanno ospitato, riservandomi sempre un trattamento speciale…c’è chi è felice di avere uno “zio d’America”, io sono contento di avere uno “zio” d’Africa.

Federico

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao nobile da guido e ilaria...continua così; adesso ci scarichiamo il tuo post e poi ce lo leggiamo con calma.

Anonimo ha detto...

..e GRAZIE per il pensierino..prima o poi mi racconterai dove l'hai preso!

Anonimo ha detto...

...chissà che un giorno veniate voi bastardi comunisti a trovarci a Marsango City...

ew..a ha detto...

Ciao nobili...prego Ilaria, è un piccolo ricordo;...dai, una volta veniamo noi nelle vostre terre...vi insegneremo a coltivare le terre e vi colonizzeremo, ciao!

Anonimo ha detto...

chi è che colonizzi? al rogo tutti i comunisti!!!!!!!!
comunque se mi insegni a coltivare, ben venga!!!!!!!!!

ciao nobile a lunedì

Anonimo ha detto...

tutti che ti commentano, lillo, io non ho niente da dire....perchè sono una persona vuota,fuori dal tempo, oltre che comunista e nei giorni dispari anarchico-nichilista.

Anonimo ha detto...

nobile non riesco a pubblicare un post...come si fa?insegna ad un ignorante per piacere

ciao

Anonimo ha detto...

Evviva lo zio d'Africa

Anonimo ha detto...

tu dici:

"E’ difficile oscurare le aspettative e lasciare spazio a cio’ che si vede senza restare delusi o meravigliati"....

è proprio così; spesso partiamo per trovare ciò che già ci siamo portati appresso, come una valigia che viaggia sempre con noi. Invece, come dici tu, dobbiamo smettere di aspettarci qualcosa ed essere semplicemente in ascolto di ciò che può, nel bene e nel male, sorprenderci...Credo che gli incontri e le mani della gente sia la cosa più bella da portarci a casa.

ew..a ha detto...

io credo che se si ha la voglia di osservare difficilmente si torna a casa delusi o entusiasti perchè di per se la voglia di vedere ti arricchisce...è il paragone che può far apparire bella o brutta una situazione, un luogo, una persona....che difficile guardare e basta, ma che bella senzazione quando si impara a farlo.

federico