sabato, settembre 29, 2007

Croazia – Bosnia Erzegovina Settembre ’07


.. inizialmente dovevamo andare in Normandia, era un pezzo che se ne parlava, qualche anno fa, quando abbiamo avuto modo di percorrere in macchina quelle lunghe e dritte stradone nelle colline a nord-est della Francia, tra noi dicevamo: “questi posti sono l'ideale per venirci in bici finchè siamo giovani e poi passarci la vecchiaia quando arriverà il momento della pensione”.

Fatto sta che il nostro progetto non è andato in porto per una serie di motivi.

Il nostro "compagno" (così si capisce da che parte stiamo) :-) Guido da un pezzo ci raccontava delle sue esperienze in Bosnia, dei posti che visitava e delle persone che incontrava, al chè ci siamo detti: “perchè non fare un giretto per la Bosnia, e, dato che ci siamo, arrivare a Sarajevo?”.

Infatti il giorno 15 settembre partiamo per questa nuova avventura. L'itinerario comincia da Velika Gorika, una cittadina a sud di Zagabria, scelta per evitare il caos della capitale e, dato che ci spostiamo in macchina, trovare un riparo sicuro per la marea.

Partiamo da Pojana alle 13.30 e dopo 500 km, alle 21.00 arriviamo a Velika dopo esserci persi per un poco a Zagabria.

Deviamo per una stradina a caso e troviamo Tibor, ragazzo croato che prende a cuore la nostra situazione, infatti non avevamo idea di dove parcheggiare la macchina; prima di partire, leggendo in qua e in là, sconsigliavano di lasciare per strada incustodita le macchina, cosa che poi è avvenuta (dopo però avere studiato il posto).

Tibor cerca di aiutarci ma non riesce a trovare una soluzione, è stato è un nobile lo stesso!


16 settembre VELIKA GORICA - KOZARSKA DUBICA 106 km

Il giorno 16 comincia ufficialmente il tour, partiamo verso le nove in direzione Bosnia (BiH), infatti oggi dovremmo arrivare e superare il confine tra la Croazia e la Bosnia.

La strada inizialmente è monotona, cominciamo a vedere le case senza malta, solo bimattone, le quali ci accompagneranno durante tutto il viaggio, poco alla volta ci renderemo conto che sono una costante, dovuta probabilmente alla mancanza di soldi per completare l'opera.

Per cena arriviamo a Kozarska Dubica dove troviamo ospitalità da un benzinaio affittastanze.


17 settembre KOZARSKA DUBICA - BANJA LUKA 91 km.

La giornata comincia in farmacia dove prendiamo un simil nimesulide prodotto in India per motivi di salute, infatti il 50 % della squadra non è in forma, il mal di gola con qualche linea di febbre sta covando..

Oggi la strada è piacevole, attraversiamo delle vallate immerse nel verde degli alberi e dei campi che i contadini sono riusciti a strappare ai monti; l'atmosfera è rilassata, lungo la strada vediamo spesso donne e uomini indaffarati nelle faccende di tutti i giorni, noi abbiamo beccato il "periodo della legna".

Spessissimo vedevamo cumuli di legna pronta per l'inverno e persone intente nello spaccare le "socche".

Tra una sosta, una mela e un caffè andiamo avanti senza problemi, facciamo una fermata in una baracchetta nella quale tre uomini sono indaffarati a bere birra e fumare.

La loro gentilezza quasi ci sorprende quando ci preparano la tavola per il nostro spuntino..

Comincia poco dopo la "strada della morte", 50 km di statale in cui gli autotreni più volte ci hanno sfiorato e dei simpaticoni sfoggiano le loro armi fingendo di travolgerci.

Lo smog delle vetture è continuo, forse la revisione non è obbligatoria.

La fortuna ci aiuta e arriviamo indenni a Banja Luka, ci sistemiamo in hotel.

18 settembre BANJA LUKA - ? (posto imprecisato tra B.L e Jajce)

Usciamo dal traffico cittadino e cominciamo la giornata "lavorativa" , anche oggi purtroppo ci sono dei problemi fisici che durante la giornata ci spingeranno a fermarci nel posto imprecisato. Pedaliamo, ci guardiamo intorno, osserviamo le persone che passano sotto i nostri occhi nello scorrere della strada; i Balcani ci accompagnano nel tragitto, ad un certo punto decidiamo per una pausa nel posto mitico ODMOR dove beviamo un caffè bosniaco ( turco ).

Il posto è spartano ma accogliente, con le galline che ci beccano il pane da sotto i piedi. Continuiamo ancora per poco in quanto la situazione peggiora e decidiamo di fermarci alle 13.00 ca al motel LAV a pochi km dal confine della Repubblica Srpska (Serba), dopo questo comincia Herzegovina.

Passiamo il resto della giornata a letto, leggendo e dormendo.

19 settembre

Appena svegli decidiamo di stare fermi una giornata per motivi di salute.

Come ieri si resta a letto, leggendo e parlando.

20 settembre ? - TRAVNIK km 97

Partiamo mattinieri per recuperare qualche km lasciato indietro nei giorni di fermo forzato, strada piacevole e pedaliamo senza tanta fatica.

Sosta per prendere acqua e mele, troviamo persone simpatiche e disponibili che ci offrono la famosa grappa sligoviz e preziose indicazioni sul percorso giornaliero; volevamo infatti prendere una strada alternativa in modo da non trovare traffico, ma i nostri amici ci dicono, o meglio noi così capiamo, non essere una buona idea in quanto la strada non risulta essere asfaltata.

Nell'avvicinarci alla meta giornaliera passiamo paesini curati e caratteristici; arrivando a Travnik sentiamo l'oriente che c'è stato e tutt'ora c'è.

Molte ragazze con il velo passeggiano per la cittadina, nelle moschee i fedeli pregano -è anche il mese del Ramadan-, noi osserviamo..

21 settembre TRAVNIK - SARAJEVO km 93

Oggi è il giorno che ci porterà nella capitale bosniaca; cominciamo la giornata in salita, in un supermercato veniamo infatti pedinati dalle commesse, temevano furti da parte nostra.

Abbiamo provato per un istante la sensazione che appartiene probabilmente a "chi non è come noi vorremmo".

Immagazziniamo e proseguiamo, dopo ca 80 km per un'autostrada non molto sicura arriviamo alla periferia di Sarajevo.

Enormi edifici popolari aprono l'ingresso al cuore della città, si vedono in modo chiaro i segni delle bombe e dei proiettili sugli edifici.

Non è come entrare in una grossa città e basta, si viene catturati da una particolare sensazione, o emozione, che ti avvolge. Credo sia la suggestione di ciò che è successo in quei luoghi, ma anche il fatto di essere in una città dove convivono, a noi è sembrato tranquillamente, musulmani, cristiani ed ebrei, dove a pochi metri una dall’altra si può vedere una moschea ma anche il campanile di una chiesa…

Alla faccia del PORK DAY.

Giriamo per la città per trovare una sistemazione, a Bascarsija, definito il cuore turco della città, troviamo un ostello che diventerà la nostra casetta per i prossimi gg.

La giornata si conclude con una cena da Barhana, un ottimo locale gestito da ragazzi del posto.

22 settembre

Alle 6.45 siamo per le strade semi deserte di Bascarsija, la temperatura è bassa, ci saranno 8/10 C°, dopo che il ragazzo dell'ostello ci illustra i posti da non perdere cominciamo il tour della città.

Prima tappa alla Biblioteca Nazionale, simbolo del delirio della guerra, bruciata nel '92 assieme a 2 milioni tra libri, saggi, riviste, periodici.

Ci fermiamo a vedere il luogo dove nel 1914 venne ucciso l'arciduca austriaco Francesco Ferdinando d'Austria da parte del nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip (avvenimento che fece scoppiare la prima guerra mondiale[1]). Poco distante entriamo nelle chiesta di S. Antonio dove un attento sacerdote stava preparando dei bouquet di fiori.

Lasciamo la bici in ostello e a piedi giungiamo su un'altura da dove si vede bene la città, sentiamo i muezzin chiamare i fedeli a raccolta, l'eco delle voci ci giunge a 360° infatti le moschee sono disseminate un pò ovunque.

La serata la passiamo girando ancora per il quartiere vecchio, entriamo nel recinto di una moschea (nel periodo del Ramadan non si può visitare l'interno) e restiamo ammagliati dal suono della voce del muezzin e dai movimenti ritmici e inusuali (per noi che non conosciamo) dei fedeli.

23 settembre SARAJEVO – POJANA

Alle 10.26 montiamo nel treno che dopo nove ore ci porta a Velika, arriviamo alle 20.00, la macchina è sana, cena finale e alle 2.30 siamo a casa.

alberto, federico.


[1] Da http://it.wikipedia.org/wiki/Sarajevo

giovedì, settembre 27, 2007

modifica

ho cambiato schermata, se a qualcuno non piace può a sua volta ricambiarla.
ciao

sabato, settembre 22, 2007

scrivere il curriculum

E' una poesia di Szymborska..mi piace la "normalità" con cui sa essere profonda.
Mi piaceva l'idea di "passare" un po' di poesia (ho visto in archivio che anche Neruda è passato di qui)...
Spero non vi dispiaccia.

...ah grazie guido per la dritta sui post..



SCRIVERE IL CURRICULUM


Che cos'e' necessario?
E' necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si e' vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta piu' chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza perche'.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo del valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa,
che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.
E' la sua forma che conta,
non cio' che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine
che tritano la carta.


melania

giovedì, settembre 13, 2007

Skahovica, Agosto 2007

La settimana estiva a Skahovica è stata per me la prima “vera” esperienza bosniaca. Già in occasione della Maratona dello scorso anno avevo visto la Bosnia ma, solo ora me ne rendo conto, non l’avevo davvero vissuta. Dato che a settembre 2006 un assaggio l’avevo già avuto, il primo impatto con Skahovica e la sua gente non è stato “traumatico”. A causa della mancanza d’acqua nella scuola, usuale accampamento durante il campo estivo, noi di Unamano siamo stati ospitati in una casa del villaggio. Questo inconveniente mi ha privata dell’esperienza campeggistica degli altri anni: niente materassini e sacchi a pelo, nessun problema con l’acqua e nessun bambino urlante che cerca di sfondare la porta della scuola di prima mattina. Ma mi (ci) ha regalato un’inaspettata amicizia. Due ragazze di Skahovica (Dina, che ci ospitava a casa sua, e Nihada, che ci aiutava con le traduzioni bosniaco-italiano) sono rimaste con noi per tutto il tempo nel corso della settimana. La convivenza, segnata da un reciproco adattamento alle diverse abitudini ed esigenze, è stata l’occasione per legare ancora di più l’Italia e la Bosnia, non solo con gemellaggi formali ma anche con vere amicizie, che vanno al di là del volontariato. Spero davvero che questo legame che si è creato tra noi e le ragazze possa arricchire e stimolare ancor più non soltanto i diretti interessati, cioè noi, ma anche tutti coloro, italiani e bosniaci, che lavorano a e per Skahovica (e naturalmente la Bosnia intera).
Dopo quasi un anno ho rivisto i bambini di Skahovica e in questa occasione ho potuto anche conoscerli. Ricordo che a settembre dello scorso anno lo sguardo è stato la prima cosa di loro che mi ha colpita. Occhi azzurrissimi o di un marrone intenso che ti catturano con aria di sfida; sguardi intensi, provocatori e pieni di vita. Così sono i bimbi di Skahovica. In un primo momento si avvicinano incuriositi, prorompenti, quasi aggressivi gridando “italianskiiii”. E poi, con la stessa energia con cui all’inizio ti gridavano in faccia o magari ti colpivano con un pugno, ti abbracciano e ti sorridono, ti chiedono se vuoi giocare a palla con loro.
Uno dei nostri “compiti” durante la settimana estiva è proprio l’animazione con i bambini (quest’anno siamo stati aiutati dai volontari italiani che operano a Gornja Orahovica, un villaggio poco distante da Skahovica, e alcune ragazze bosniache); si canta (la maggior parte delle volte in una lingua che è un misto tra bosniaco e italiano), si gioca, si urla tantissimo, ma soprattutto ci si diverte (sia noi che i bambini!).
Anche a Skahovica, come ovunque nel mondo, c’è chi sta meglio e chi peggio. C’è chi ha la fortuna di lavorare all’estero e di poter quindi mantenere discretamente la famiglia in Bosnia, chi il lavoro non ce l’ha proprio. Purtroppo, però, quelli che vivono in situazioni disagiate sono la maggior parte. Durante la settimana abbiamo visitato molti casi sociali (ovvero persone con problemi economici, di salute, ...) e alcuni sono davvero gravi. Inutile dire che tutti mi hanno colpito profondamente, mi hanno fatto riflettere su molte cose di me e della mia vita; ma forse le particolari condizioni di Menissa, una ragazza di 32 anni, e la sua strana malattia, hanno lasciato in me il segno più profondo. Da quando aveva 15 anni convive con un male che non si è ancora riusciti a diagnosticare: cause ancora sconosciute le provocano frequenti svenimenti. Inizialmente, anni fa, questi erano sporadici, accadevano all’improvviso ma raramente. Ora invece Menissa sviene quasi ogni ora. Si può solo immaginare gli effetti psicologici, oltre ovviamente a quelli fisici, che questa sua condizione provoca in lei. Si aggiunga a tutto questo una situazione economica familiare molto precaria e povera. Anche il giorno in cui siamo andati a trovarla, Menissa è svenuta proprio davanti a noi. Non credo dimenticherò mai quel momento.
Oltre alle singole difficili realtà delle varie famiglie del villaggio, ci sono alcuni problemi che interessano Skahovica intera. Per la mancanza di un valido acquedotto ad esempio, molte parti del paese non sono raggiunte dal sistema di tubature e così moltissime famiglie sono costrette a vivere senza acqua corrente in casa.
In queste condizioni, spesso di notevole disagio, tutti nel villaggio si aiutano comunque a vicenda; chi ha qualcosa in più degli altri sostiene economicamente, ma non solo, chi invece in quel momento è in difficoltà.
In disaccordo con questo clima di reciproca collaborazione e sostegno tra gli adulti, ma anche tra i bambini di Skahovica, è il comportamento che ho visto da parte di quest’ultimi nei confronti dei bambini rom (che abitano con le loro famiglie all’inizio del villaggio). L’ultimo giorno di animazione, hanno partecipato ai giochi anche i bambini rom che durante la settimana non erano mai venuti. Gli altri del villaggio di Skahovica non hanno però voluto in alcun modo (nonostante parecchia insistenza da parte nostra) prenderli per mano o disegnare seduti al loro fianco: i bambini “bosniaci” da una parte e i rom dall’altra. Ovviamente il comportamento dei bambini è conseguenza di un certo modo di porsi da parte delle famiglie nei confronti dei rom. Questo significa che l’integrazione e la convivenza su cui lavorare non deve essere soltanto quella tra serbi e mussulmani, ma quella tra tutte le etnie presenti in Bosnia. La strada da compiere è ancora lunga...
Questa settimana mi ha regalato davvero molto. Ho conosciuto e visto da vicino altre realtà, culture, persone, cibi, tradizioni, modi di pensare e di agire. Mi sono sentita così bene durante e dopo quest’esperienza, che sono arrivata a chiedermi se ho intrapreso questo “viaggio”, fisico ma non solo, in Bosnia per aiutare le persone di quel paese o se inconsciamente l’ho fatto anche per me stessa. La risposta non l’ho ancora trovata, ma credo che in fondo questo non abbia davvero importanza.

Ilaria

domenica, settembre 09, 2007

SETTIMANA ESTATE 2007

Questa per me è stata la seconda estate in Bosnia e comunque dopo qualche viaggio fatto durante l’anno mi sento quasi come a casa mia. Questa settimana è stata diversa rispetto all’anno scorso: nel 2006 l’entusiasmo e la paura che mi hanno accompagnato durante la mia prima esperienza del genere, molto probabilmente mi hanno impedito di notare e riflettere su certe cose. Noi di Unamano abbiamo dormito e vissuto a casa di una ragazza (Almedina) del villaggio di Skahovica e con noi è sempre rimasta anche Nihada, una ragazza che ha vissuto qualche anno in Italia e che ci ha molto aiutati con la lingua (con Almedina si parlava in inglese). Nella scuola dove di solito ci si accampava non c’era acqua (il villaggio ha problemi di acquedotto) così siamo stati ospitati da Dina (così tutti la chiamano) che avendo più possibilità “finanziarie” rispetto ad altri, ha a casa una cisterna che le permette di non avere mai problemi di questo tipo. Anche Nihada, a casa della quale abbiamo cenato più volte, ha le stesse possibilità, avendo padre e fratello che lavorano in Italia. La loro gentilezza e ospitalità sono stati davvero fantastici, non avrò mai tante parole per ringraziarle (e grazie anche alla madre di Nihada). Ed ecco la prima riflessione: la differenza quasi abissale tra delle situazioni così ed altre in cui le persone non riescono quasi a sopperire nemmeno ai bisogni primari. Anche quest’anno abbiamo visitato alcuni “casi sociali”, famiglie che hanno evidenti problemi di pagarsi le medicine, il materiale scolastico per i figli, i beni di prima necessità. Molte di queste famiglie non hanno entrate: chi non può lavorare perché è invalido, donne vedove con figli a cui il marito non pensa, e ottenere dei sussidi è molto difficile. Siamo stati a visitare una signora il cui marito era ammalato e non poteva lavorare; quando finalmente era riuscita ad ottenere una specie di pensione e doveva presentarsi con lui all’ufficio per le ultime formalità, lo ha trovato morto in casa. Abbiamo lasciato qualche soldo in più per questa famiglia e lo stesso abbiamo fatto per Fatija, una signora il cui ex marito non vuole che i figli la vadano a trovare (anche i volontari del Sunsokret gli portano gli aiuti senza che il marito lo sappia), e per la ragazza che sviene (Menissa) e che ha bisogno di medicine. L’anno scorso abbiamo anche aiutato un ragazzo che aveva bisogno di materiale scolastico; quest’anno ha finito la scuola e con ottimi risultati ma non può frequentare l’università visto che i suoi genitori non lavorano. Si è pensato ad una specie di adozione a distanza…vedremo se è fattibile. Questi casi ci sono stati segnalati sia da Dino, ma anche dalla gente del villaggio che incontravamo. Seconda riflessione: l’aiuto che queste famiglie hanno da chi ha più possibilità. Visitando alcuni casi sociali abbiamo appreso con molto piacere che qualche volta chi è in difficoltà viene aiutato dai suoi compaesani; c’è chi paga metà del costo dell’autobus per la scuola al figlio di qualcun altro, chi aiuta in qualche altro modo; anche la famiglia di Ademir si è impegnata in questo.Terza riflessione: la non integrazione dei bambini rom (i bambini non gli vogliono nemmeno dare la mano) e allora cosa possiamo fare noi per questo? L’animazione ai bambini può diventare luogo di integrazione attraverso un percorso specifico o resterà solo fine a se stessa? Quest’anno mi sono posto queste domande probabilmente per i motivi sopracitati. L’integrazione tra le due etnie che noi come gruppo di volontari cerchiamo di portare avanti e in cui crediamo, quest’anno è stata messa a dura prova proprio durante una manifestazione fatta appositamente per sensibilizzare la gente sul problema. Il torneo di calcetto tra i villaggi è stato macchiato da una partita palesemente combinata tra due squadre musulmane (Doborovici e Pribava) per non far accedere alla finale la squadra serba di Kakmuz. Le due sono state squalificate dopo aver (quasi) ammesso il trucco ma non l’hanno presa bene e il torneo si è concluso con cori non proprio sportivi e con un rifiuto dei premi che ha fatto capire l’aria che si respirava (il pallone come premio di partecipazione è stato scagliato lontano con un calcio sotto gli occhi attoniti di tutti). Come primo impatto io ho letto questa cosa come una sconfitta che il nostro gruppo di volontari ha subito e non sono riuscito a capire come un semplice torneo di calcetto tra bambini possa arrivare a tanto. Parlando poi con i volontari italiani del villaggio di Doborovici che hanno discusso con i loro ragazzi di ciò che era accaduto, allora capisci che il risentimento è ancora tanto e che forse ci vorrà ancora molto tempo per una pacificazione vera e propria (molti sono profughi che vengono da Srebrenica, dove c’è stato un famoso genocidio di musulmani da parte delle milizie serbe alla fine della guerra nel ’95). Ma quello che mi fa ancora più male è che quando, tornato in Italia, ho raccontato questa storia ad alcuni miei amici, mi sono sentito dire che quello che cerco e tutti i volontari cercano di fare è solo un’illusione, perché gli slavi sono tutti uguali e sono fatti così, arroganti e che solo Tito è riuscito a tenerli “al guinzaglio” (questo mi è stato detto da un amico che viene spesso a contatto durante il lavoro con persone provenienti dai Balcani). Ma allora tutte le persone di diversa etnia che erano sposate tra di loro, tutti gli amici che non badavano alla religione che professava uno o l’altro, la convivenza pacifica che c’è stata prima della guerra e solo frutta di una dittatura? Io non conosco come sono andate le cose ma non penso che uno si svegli alla mattina e ripudi la moglie o il marito solo perché crede in qualcos’altro; penso, e spero non sia la solita retorica, che i responsabili siano i soliti governanti e che il popolo si faccia plagiare troppo. Forse dimentichiamo che anche noi italiani abbiamo avuto la nostra dittatura con la sua conseguente guerra civile e risentimento verso quelle persone che prima magari erano state amiche (le situazione erano molto diverse ma forse il concetto principale della convivenza sta in piedi). Ma quel che è peggio è che io non riesco lì per lì a far capire ai miei amici che non si può generalizzare e che bisogna continuare a lavorare per raggiungere quell’obiettivo in cui si crede. Le persone semplici cercano la pace sia che siano slavi, africani, asiatici, italiani…almeno lasciatemelo sperare.
Guido