mercoledì, marzo 15, 2006

"contro le guerre di religioni" (2)

Pubblico all'interno di questo post la pronta risposta che l'itagnolo ha dato a tutti nostri commenti del primo "contro le guerre di religioni". Mi faccio da tramite non per vanto o per negligenza del "nuovo arrivato"...ma solo per una questione di comodità sua. Lo saluto con tanto affetto e lo ringrazio: mi permetto anche di dire che siamo fortunati, ad avere una persona come Luis (l'itagnolo), che esprime il suo pensiero qui all'interno del ns. blog.
Ciao a tutti
ste

5 commenti:

Anonimo ha detto...

LA GUERRA E IL SACRO

Amici cari, ho letto con molta attenzione (e piacere) le tante cose che avete scritto a commento di quanto ho trasmesso a Stefano sulla famigerata “guerra di religioni”.

LE VERITA’ DI FEDE E LE VERITA’ DELLA RAGIONE.

Ho visto che il “dibattito”, giustamente, è scivolato verso le concezioni sulla religione e sull’esistenza di una divinità. “Dio esiste - “Dio non esiste”, è un binomio che rientra nella categoria delle “verità di fede” e non in quella delle “verità della ragione”. Perché? Semplicemente perché che “Dio esiste” non una verità evidente; una verità che si impone alla ragione come invece accade col fatto che 2 + 2 fanno 4. L’uomo di fronte alle verità della ragione non-è-libero. (Non siamo liberi di credere e non credere che 2 + 2 fanno 4 o che la Terra ruota intorno al Sole). Al contrario, di fronte alle verità di fede (proprio perché non-evidente) siamo liberi assolutamente: possiamo credere, possiamo non credere, e non cambia nulla nel senso che non finiremo in un manicomio e in un commissariato. Le due posizioni hanno la stessa dignità.

Se invece io dico che non credo che 2 + 2 fanno 4 potrei andare a finire in un centro per igiene mentale. Perciò, a mio avviso, non vale la pena discutere sull’esistenza di Dio. E’ un dibattito senza sbocco, sterile, non creativo. Il risultato finale dipende dalla fede dell’individuo e basta (e ciò è sempre un qualcosa di precostituito): non c’è spazio per la dialettica tranne quella discorsiva e accademica. Alcuni hanno la fede e altri non hanno questa fede. Tommaso d’Aquino ha dato 5 ragioni (usando il pensiero di Aristotele) per “dimostrare” che Dio esiste, ma, chi non ci crede non si muoverà un solo millimetro nella sua incredulità se studia questo testo. Così come chi ci crede non cambierà idea anche se legge mille volte le ragioni secondo le quali l’esistenza di Dio non è possibile (quelle di Jean-Paul Sartre o di Bertrand Russell). Insomma, in quest’ambito c’è una sola cosa intelligente e civile da fare: il rispetto sincero reciproco così come ci rispettiamo in tante altre cose (gusti musicali, gusti letterari, scelte esistenziali, ecc …)

LE RELIGIONI.

Un altro discorso sono le religioni, cosa ben diversa dalla fede. Le religioni sono un’elaborazione squisitamente umana e concernono sempre la collettività in quanto modo di vivere insieme. Sono un’invenzione dell’uomo e dunque, non appartengono al mondo delle “verità di fede” che ogni singolo individuo può serbare nel proprio cuore. L’etimologia della parola “religio” (da cui deriva “religione”) è molto illuminante in questo senso. Per Cicerone “religio” sarebbe un derivato del verbo “legere” (cogliere o riunire). Per Lattanzio e Tertulliano derivare dal verbo “ligare” che significa “legare”. Vedete amici: “religione” è sempre una costruzione artificiale e in poche parole significa “cogliere e riunire”. C’è da chiedersi: cosa colgo e come lego ciò che ho colto? Dov’è il criterio di verità di questa raccolta? Chi la determina e come? Quali sono gli scopi dichiarati e quelli impliciti?

Normalmente, non sempre, le religioni derivano subito in istituzioni (chiese, comunità, sette, movimenti …) che evolvono verso l’instaurazione di burocrazie religiose, regole e codici, liturgie e altro con lo scopo di consolidare e proteggere più che la fede stessa i suoi amministratori e mediatori. E, in questo senso, la storia, in particolare gli ultimi 21 secoli, dimostrano che le religioni – in quanto architettura ideologica seppur sostenute da “verità rivelate” (fede) trasmesse da un profeta o da Dio stesso, tramite un mediatore – sono state spesso usate dal potere, dai politici, dai movimenti ideologici, come strumento di lotta per dare cemento morale a progetti di ogni tipo (economici, espansionismo territoriale, propaganda, proselitismo e via dicendo). Generalmente tra le parti opposte c’è stata anche simmetria: le Crociate cristiane avevano molte similitudine con la Jihad islamica dei nostri giorni, per esempio. Un altro ricordo: sinceramente tra le malefatte del cristianesimo e quelle dell’islamismo lungo i secoli ci sono poche differenze. Ovviamente non mi riferisco ad Allah né tantomeno a Jahvé, bensì a coloro che hanno “amministrato” il suo santo nome. Il Dio personale non è guerriero. Il “Dio” collettivo finisce quasi sempre con afferrare un fucile. Nel primo caso è un Dio vero. Nel secondo è un surrogato.

DUNQUE …

Coloro che oggi parlano di “guerra di religioni” sanno benissimo che non è gioco la divinità (anche se tutto si fa nel nome di “Dio”) poiché è più che consapevole della vera natura dell’operazione che tenta di mettere in essere: “arruolare” il divino e il sacro a difesa dei propri interessi. Il Dio musulmano, cristiano o ebraico è una cosa molto seria e chiunque tenti di ingaggiarlo come militante del suo partito è uno stolto pericoloso. Queste operazioni rientrano nell’ambito della manipolazione delle religioni che, proprio perché spesso sono realtà istituzionalizzate, sono facile preda del potere. Fanno gola a chi vuole “dominare”. Le stesse religioni spesso, per crescere o sopravvivere, hanno cercato alleanze col potere politico e la cosiddetta “autonomia dal potere temporale” (a Dio ciò che è di Dio e al Cesare ciò che è del Cesare) è rimasta lettera morta.

La mia modesta conclusione per ora è questa: nella vera o presunta guerra di religione (Dio non c’entra) … si tratta di un artificio arbitrario per arruolare in difesa della propria causa un’elaborazione ideologica che, già di per sé, è un altro artificio. Quest’operazione ha una spiegazione molto precisa: dopo la caduta delle ideologie (prima, lungo i secoli, erano già caduti i clan, le nazioni, gli stati e i grandi sistemi …) siamo tutti, persone, popoli e civiltà, alla ricerca della nostra identità individuale e collettiva. Sono cadute in poco tempo troppe certezze. Da un emisfero all’altro ci sentiamo tutti un po’ orfani. L’identità si rafforza, da un lato, individuando sempre e comunque un “nemico” comune contro il quale guerreggiare e, dall’altro, risvegliando nelle persone gli elementi che consentono un’auto-definizione precisa: lingua, sangue, religioni, tradizioni … E tutto ciò per poter dire: “Noi” e gli altri … Sovente è la politica quella che definisce sia il “noi” sia gli “altri”.

Scusatemi, ma io non mi fido. Vorrei essere io a dire “chi sono” e vorrei essere io a dire “chi sono gli altri”. E’ un mio diritto e non voglio delegare quest’esercizio a nessuno (neanche al mio più caro amico).

ew..a ha detto...

volevo ringraziare anch'io Luis per i suoi interventi e la sua attenzione che ha dato alle nostre risposte..mi viene quasi da definirlo come il papà del blog che porta la sua esperienza e cultura.
devo rileggere il commento almeno un'altra volta per fissare certi concetti ma a prima lettura mi è molto piaciuta la distinzione tra l'avere fede e l'avere una religione da usare per i vari scopi...a più tardi
bella polo!!

Anonimo ha detto...

concordo pienamente con zu...mi stamperò il commento e lo rileggerò con calma...e mi chiedo:
se strumentializziamo e abbiamo strumentalizzato anche le religioni, che razza di perfido animale è l'uomo?
ciao ragazzi

ew..a ha detto...

volevo chiedere a Luis a agli altri se secondo voi la "chiesa" (il papa e chi ha "potere decisionale" in essa) vuole creare queta differenza tra "noi" cristiani e gli "altri" non cristiani, anche se sa del "pericolo" nell'dentificarsi in qualcosa, o se questo è solamente un rischio di interpretazioni "sbagliate" di chi "pratica" questa religione?
mi sono spiegato male forse....in poche parole si sa del pericolo di identificarsi troppo in qualcosa e si sente tanto parlare di dialogo e convivenza....ma tutta questa difficoltà di integrazione con gli stranieri...tutti questi riti ancora ben radicati nelle funzioni religiose, le dvarie discussioni dei crocefissi nelle scuole ecc. mi sembra che portano dalla parte opposta...mi sembra che la "chiesa" vuole comunque difendere prima le proprie posizioni e poi semmai dialogare...

Anonimo ha detto...

Voglio rispondere a Fede e agli altri amici che ci hanno fatto conoscere le loro opinioni. Le loro domande, opportune e intelligenti, portano a inserire la questione (guerra, fede, religioni, chiese... identità individuale e collettiva) nel vasto e composito problema delle culture, o meglio, delle civiltà. E' fuori dubbio che il solo fatto di nascere e crescere all'interno di una civiltà (occidente cristiano, nazioni islamiche, Paesi buddhisti o induisti, agglomerati slavo-ortodossi, arcipelago cinese ... ecc.) fa di ciascuno di noi un membro di quella società e, quindi, col passare del tempo - per induzione, convinzione, inerzia, osmosi - tendiamo ad identificarci nei parametri portanti di “quella” (nostra) cultura. Detto in modo banale: con quasi totale certezza chi nasce in Cina diventerà un cinese che lungo la sua vita interiorizzerà le principali caratteristiche di quella società (e fra queste, ovviamente, c'è la fede religiosa più diffusa in quel contesto). La meccanica è identica nel caso di tutti noi che siamo nati all'interno del cosiddetto occidente cristiano e liberal-democratico. Volente o nolente ognuno di noi porta in sé molte delle caratteristiche di questa nostra civiltà. (Un giorno ci proverà ad elencare queste caratteristiche). In questo senso possiamo dire che "fanno parte di noi" la fede cristiana (cattolica o protestante), la Chiesa romana e apostolica, le comunità Anglicana o Luterana, e via dicendo. Attraverso questa dinamica misteriosa (nessuno essere umano ha scelto il posto dove voleva nascere) "entrano" a far parte di noi, insomma, l'insieme di elementi che di per sé definiscono i contorni di una civiltà (d’appartenenza). L'umanità non altro che una famiglia di civiltà e nessuno può nascere senza una famiglia, senza una civiltà d'appartenenza. Certo, va detto subito che quando si diventa persona adulta, matura, soggetto di conoscenze e di capacità critica, ognuno ha il diritto ad accettare e rifiutare questi parametri, tutti o alcuni. Al limite ha diritto anche a cambiare civiltà. Questo però una scelta squisitamente personale.

La prima cosa da sottolineare è palese: se nel mondo esistono tante civiltà (e culture) diverse (e sono sette - otto) nessuna - ripeto: nessuna! - può pretendere di essere una civiltà universale. Fanno male, anzi malissimo, coloro che col pretesto di voler difendere la propria civiltà predicano e praticano l'imposizione di essa ai membri (miliardi di persone) di altre civiltà. Una volta si parlava di "eurocentrismo", vale a dire, quando l'Europa colonialista aveva la pretesa di essere l'unico metro per misurare la libertà, la democrazia, il progresso ... (noi, indiani dell'America Latina siamo stati chiamati "primitivi" … “povero creature non ancora battezzate”). Ciò che era buono per l'Europa necessariamente doveva essere buono per i non-europei. Oggi si afferma che ciò che è buono per gli Stati Uniti è buono per il resto del mondo e negli ambienti neo conservatori si pensa così: "Noi e gli altri". Quel "noi", in un primo momento viene sostituito con la dicitura : "L'Occidente" (e gli altri) ma subito dopo - miracolo! - quel "noi" diventa "Gli USA" (e gli altri). (Ancora nessuno ci ha proposto "La Casa Bianca" e gli altri).

L'Occidente, da secoli, ha avuto sempre la pretesa di fagocitare tutto e tutti. L'Occidente tende ad essere un animale onnivoro. Un esempio piccolo ma clamoroso: la cartina geografica del mondo - cosiddetta di Mercatore - ci fa vedere i continenti dal punto di vista dell'Europa, messa al centro del cosmo, verso le "periferie". Si arriva così a far "vedere" la Groenlandia (2.175.600 kmq) più grande dell'Africa (oltre 30.000.000 kmq). Pura de follia!

A mio avviso non c'è nessuno problema nel voler proporre agli altri le proprie convinzioni o parametri di civiltà (fede religiosa, lingua, gusti gastronomici, valori giuridici, sistemi politici ...) Ma ciò è ben diverso dal volere imporre agli altri ciò che tu sei pensando che in te qualcuno ha depositato l'unica verità possibile e l'unica vera civiltà. Questa condotta oltre ad essere suicida e foriera di guerre e lutti è intollerabile. Va combattuta senza tregua. Solo la diversità, rispettata reciprocamente, può salvare l'umanità. L'universalismo, che in categorie politica si chiama "imperialismo" (altri oggi parlano di "omologazzione" delle culture), porta solo alla catastrofe.

Spesso la famigerata "guerra di religioni" non è altro che la ricerca dello scontro o guerra di civiltà; vale a dire il desiderio inconfessabile di imporre ad altri il tuo dominio e la tua egemonia (economica, politica, cultura e anche religiosa). Ancora una volta la "religione" (che non c'entra nulla) viene usata come pretesto e alibi. Per i poteri forti dell'Occidente il vero problema è l'irruzione prepotente della Cina nel concerto della nazioni e, se prima non scoppia la Terza guerra mondiale, i cinesi entro il 2025 saranno la vera e indiscussa potenza mondiale, senza rivali. Occorre dunque "prepararsi" dicono alcuni. E prepararsi significa una cosa concreta: creare intorno alla Cina un cordone sanitario di contenimento e protezione e, quindi, si deve cominciare ad addomesticare tutte le altre civiltà che la circondano perché è fra esse - diventate amiche per le buone o per le cattive- dove l'Occidente può agire con vera efficacia per raggiungere il suo scopo. Stando così le cose diventano strategici i Paesi dell'Asia Centrale, a sud della Federazione Russa e le nazioni della mezzaluna islamica dalla Turchia alle Filippine.

La guerra di civiltà (presentata come probabile "guerra di religioni") è un progetto politico e non c'entra con i flussi migratori, col terrorismo di Al Qaeda o con la povertà di 2/3 dell'umanità. Questi problemi esistono e hanno una propria dinamica causale. Oggi vengono messi nel pentolone della crociata dell'universalismo che propagandano tutti quelli che guardano e vedono il mondo solo ed esclusivamente come "un mercato" planetario per vendere e guadagnare senza regole.

Un antidoto per questo rischio reale sta nella difesa della diversità e non solo della diversità tra le grande civiltà ma anche al loro interno. Così come non è vero che l'Occidente democratico sia una realtà monolitica (dire: “africani, latinoamericani, europei, statunitensi ... tutti uguali perchè occidentali” è una panzana) è anche vero, per esempio, che nella civiltà islamica (oltre 1 miliardo e 400 milioni di persone) siano tutti identici. Bin Laden non è uguale ai contadini del Pakistan e dell'India e gli iracheni o indonesiani non hanno nulla a che vedere con i gruppi dell'integralismo musulmano. Osama ha più cose da spartire con certi ambienti neo conservatori occidentali che con i popoli di fede musulmana.