sabato, novembre 24, 2007

Semplici regole

Ieri sera sono stato al concerto dei Subsonica a Jesolo (davvero bello) e volevo rendervi partecipi di una cosa che è accaduta e che comunque accade quando ci sono eventi del genere. Nonostante vi sia il divieto del fumo all'interno di qualsiasi luogo, ieri sera c'era gente che fumava dentro al palazzetto. Pazienza fosse qualche eccezione, erano tanti! Io mi lamento tra me e me e riesco a farlo notare solo a mia sorella che mentre fumava, l'ho "sgridata" e lei mi ha dato anche ragione ma ha continuato a fumare. Io non fumo quindi non sono certo di come mi sarei comportato se lo facessi; è anche vero che mi sembrava non ci fossero spazi appositi per farlo; ma se c'è una regola da seguire vuoi che non ci riusciamo per due ore? E poi magari pretendiamo che gli altri rispettino le leggi qualsiasi esse siano. Penso che rispettando le piccole cose possiamo poi iniziare a rispettare tutto il resto e a pretendere che tutti le rispettino. Magari alle persone che c'erano ieri sera non importa niente di rispettare le regole, ma spero che almeno poi non si lamentino perchè "il mondo" non va come dovrebbe andare. Anch'io magari predico bene e poi non metto in pratica ma penso che la consapevolezza intanto sia un punto di partenza. Spero che ci siano stati fumatori che non hanno fumato per rispettare le regole. Sarebbe stato bello che Samuel (il cantante) o C-Max (il chitarrista e la mente del gruppo) oltre alle solite e giustissime frasi contro i grandi mali del mondo, avessero detto a tutti di non fumare perchè è iniziando noi a rispettare le regole che poi potremmo pretendere che gli altri le seguano, qualsiasi siano.

GUIDO

Chi ci amministra

Ciao a tutti. Mi è arrivato questo scritto da Alex Zanotelli da una attivista contro i soprusi della Cina al Tibet. Mi sembra doveroso farlo girare in qualsiasi modo lo si possa fare e discuterne. Ormai sappiamo come noi la pensiamo; sarebbe bello sentire una voce diversa. Ciao

Guido


Finanziaria, armi, politica: Che vergogna - 20/11/2007

Rimango esterrefatto che la Sinistra Radicale (la cosiddetta Cosa Rossa)abbia votato, il 12 novembre, con il Pd e tutta la destra, perfinanziare i CPT, le missioni militari e il riarmo del nostro paese.Questo nel silenzio generale di tutta la stampa e i media .Ma anche nelquasi totale silenzio del "mondo della pace ".Ero venuto a conoscenza di tutto questo poche ore prima del voto. Holanciato subito un appello in internet: era già troppo tardi. La"frittata" era già fatta. Ne sono rimasto talmente male, danon avereneanche voglia di riprendere la penna. Oggi sento che devo esternare lamia delusione, la mia rabbia. Delusione profonda verso la SinistraRadicale che in piazza chiede la chiusura dei "lager per gliimmigrati",parla contro le guerre e l'mperialismo e poi vota con la destra perrifinanziarli.E sono fior di quattrini!
Non ne troviamo per la scuola, per i servizisociali, ma per le armi SI'! E tanti!!Infatti la Difesa per il 2008 avrà a disposizione 23,5 miliardi di euro:un aumento di risorse dell'11 rispetto alla finanziaria del 2007,chegià aveva aumentato il bilancio militare del 13%. I
l governo Prodi in due anni ha già aumentato le spese militari del 24%!!Ancora più grave per me è il fatto dei soldi investiti in armi pesanti.
Due esempi sono gli F35 e le fregate FREMM. Gli F35 (i cosiddetti JointStrike Fighter) sono i nuovi aerei da combattimento (costano circa 110milioni di Euro cadauno). Il sottosegretario alla Difesa Forcieri neaveva sottoscritto, a Washington, lo scorso febbraio, il protocollo diintesa.In Senato, alcuni (solo 33) hanno votato a favore dell' emendamentoTurigliatto contro il finanziamento degli Eurofighters, ma subito dopohanno tutti votato a favore dell' articolo 31 che prevede anche ilfinanziamento ai satelliti spia militari e le fregate da combattimentoFREMM.
Per gli Eurofighters sono stati stanziati 318 milioni di Euro per il2008, 468 per il 2009, 918 milioni per il 2010, 1.100 milioni perciascuno degli anni 2011 e 2012!Altrettanto è avvenuto per le fregate FREMM e per i satelliti spia.E' grave che la Sinistra, anche la Radicale, abbia votatomassicciamenteper tutto questo, con la sola eccezione di Turigliatto e Rossi, e altridue astenuti o favorevoli. Purtroppo il voto non è stato registratonominativamente! Noi vogliamo sapere come ogni senatore vota !Tutto questo è di una gravità estrema! Il nostro paese entra così nellagrande corsa al riarmo che ci porterà dritti all'attaccoall'Iran e allaguerra atomica.Trovo gravissimo il silenzio della stampa su tutto questo: una stampasempre più appiattita!Ma ancora più grave è il nostro silenzio: il mondo della pace che dormesonni tranquilli. E' questo silenzio assordante che mi fa male.Dobbiamoreagire, protestare, urlare!Il nostro silenzio, il silenzio del movimento per la pace significa lamorte di milioni di persone e dello stesso pianeta. La nostra è folliacollettiva, pazzia eretta a Sistema. E' il trionfo di "O'Sistema".Dobbiamo riunire i nostri fili per legare il Gigante, l'Impero deldenaro. Come cittadini attivi non violenti dobbiamo formare la nuovarete per dire No a questo Sistema di Morte e un Sì perché vinca la Vita.

Alex Zanotelli

martedì, ottobre 30, 2007

Lascio tra queste pagine una poesia di Borges...Buona lettura.

Se potessi vivere di nuovo la mia vita.

Nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto non lo sia già stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.

Correrei più rischi, farei più viaggi,
contemplerei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.
Andrei in più luoghi dove mai sono stato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali,
e meno problemi immaginari.

Io fui uno di quelli che vissero ogni minuto della loro vita sensati e con profitto;
certo che mi sono preso qualche momento di allegria.
Ma se potessi tornare indietro, cercherei di avere soltanto momenti buoni.
Chè, se non lo sapete, di questo è fatta la vita,
di momenti: non perdere l'adesso.

Io ero uno di quelli che mai andavano da nessuna parte senza un termometro,
una borsa dell'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.
Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e resterei scalzo fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri in calesse,
guarderei più albe,
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.

Ma vedete, ho 85 anni e so che sto morendo.

Jorge Luis Borges

lunedì, ottobre 15, 2007

Indifferenza

Mercoledì 3 Ottobre, ore 7.30circa. Seduta in autobus a Padova ho assistito a questa scena:

Per il traffico l’autobus era fermo in coda davanti alla stazione dei treni.
Un folto gruppo di pedoni aspettava lo scatto del verde del semaforo pedonale. Il verde scatta e questa “mandria” inizia ad attraversare la strada. Tra loro c’è anche un signore (sulla quarantina penso) cieco, con tanto di bastone bianco. Nella zona stanno facendo dei lavori sulla strada e quindi, perpendicolarmente alle strisce pedonali, subito a fianco di esse , hanno messo una lunga rete metallica che impossibilita l’attraversamento della strada se non si è esattamente sopra le strisce.
Il signore cieco, probabilmente perché c’è molta gente che sta attraversando, si porta un po’ più lontano dalla folla, uscendo di poco dalle strisce. Purtroppo però proprio dalla parte dove si trova la rete. Così arriva all’altezza della rete e ci sbatte contro. Allora con il bastone prova ripetutamente a capire cosa lo ostacola e soprattutto cerca di trovare la fine dell’ostacolo per poter proseguire.
Posso assicurarvi che la scena era alquanto straziante. Il tutto è durato per parecchi secondi e nonostante la gente lì vicino fosse TANTISSIMA, nessuno si è fermato per aiutarlo a trovare la “strada giusta”. Un ragazzo di colore che si trovava a parecchi metri di distanza, quando ha visto che tutti schivavano il signore cieco facendo finta di niente (è impossibile che non se ne fossero accorti perché gli passavano a un centimetro di distanza), è scattato di corsa e lo ha aiutato ad attraversare la strada.
Dopo un primo momento in cui (pervasa da un gran nervoso per il comportamento delle persone e per non aver potuto intervenire sebbene fossi stata lì a pochi metri) ho insultato tra me e me il mondo, sono stata colta da una profonda tristezza. Possibile che nessuno si sia fermato per aiutarlo? Non c’era niente di rischioso, compromettente, vergognoso o chi sa cosa da fare. Bastava semplicemente aiutare il signore a fare un passo più in là. Non riesco a capire proprio. Se per aiutare una persona sconosciuta devi rischiare la vita, posso anche capire che ci pensi due volte prima di intervenire. O anche se per aiutarla devi fare qualcosa di imbarazzante posso capire (capisco ma non giustifico!). Ma qui la situazione non richiedeva niente di tutto questo. Ma allora cos’ha impedito a tutte quelle persone di non aiutare il signore cieco? Cosa le ha bloccate? Non sono ancora riuscita a darmi una risposta logica e sensata...siamo davvero così egoisti e poco sensibili verso il prossimo? Chissà se qualcuno di quei passanti si è chiesto poi se era giusto quello che aveva fatto (o meglio NON aveva fatto)? Se almeno uno si sia poi sentito almeno un po’ in colpa o tutti si sono dimenticati un secondo dopo quello che avevano visto?

ilaria

domenica, ottobre 14, 2007

frammenti di Bosnia

Prima di partire per la Bosnia ho raccolto alcune informazioni, di chi ci era già stato e di chi ha scritto qualcosa su questa nazione…non ho voluto informarmi troppo, anzi non ne avevo nemmeno la voglia e la necessità; preferisco andare e scoprire un po’ per volta quello che dovrò scoprire.

Nel bel libro “Infiniti Balcani” che stavo leggendo nei giorni prima di partire, ho letto un proverbio slavo che dice: “dopo qualche giorno in un paese straniero si è talmente certi di aver capito tutto che è difficile resistere alla tentazione di dedicargli un libro; se in un paese ci si resta per qualche mese tutt’al più ci si arrischierà a pubblicare un breve articolo; se la permanenza si protrae oltre, con ogni probabilità non verrà scritto nulla”.

Personalmente in sei giorni di permanenza in Bosnia mi sento solo di scrivere senzazioni che ho vissuto direttamente, metro dopo metro dalla sella della bici…senzazioni che prendono forma dall’intreccio di visioni, profumi e rumori…dalla stanchezza, dalla fame, dal piacere dell’incognito e da un compagno di viaggio tosto come pochi.

Singolare il primo alloggio, da un benzinaio che affittava camere sopra la sua officina…una stanza semplice, essenziale ma accogliente, tre caratteristiche che ho costantemente ritrovato nei luoghi e nelle persone durante tutto il tragitto:

…case di mattoni senza malta, case con malta, colline verdi, prati sfalciati, auto praona (meccanico), vecchiette con velo e gonna nere, bar, ristoranti con il maialino che gira arrostendo, terrazze senza ringhiera con tavolino e sedie sospese nel vuoto, terrazze con ringhiere senza tavolini e sedie, vecchiette che sfruttano passaggi in trattore, sguardi perplessi nei confronti delle bici cariche di borse e di chi ci sta sopra, alberi di mele, lattine di red-bull lungo il bordo della strada, gruppi di persone fuori dai bar o dalle baracchette-supermercato, sigarette, birra, grappa sligoviz, pane (kruh), galline, maiali nei cortili, persone che tagliano grossi ceppi di legno in vista dell’inverno, bambini e bambine che escono da scuola, fermate dell’autobus, camionisti impazziti a forte velocità, macchine vecchie, macchine nuove, carretti trainati da cavalli, indicazioni stradali in cirillico all’interno della repubblica srpska, moschee, caffè espresso, caffè bosniaco (turco), scheletri di case, giardini senza recinto, giardini pieni di fiori, paesaggi montani con mucche e capre al pascolo, il proprietario di un baracchino-bar che ci prepara il tavolino con tovaglia e ombrellone per farci stare all’ombra mentre mangiamo pane, formaggio e semi di girasole appena comperati da lui, donne corpulente, canestri da basket nei giardini delle case, strada in salita fino al passo, dabor dan (buongiorno), dovijinia (arrivederci), pet (cinque), “italiani? Ciao, come stai?”,tronchi come pali della luce, lavori stradali, fiumi che inghiottono rifiuti, vallate, cave, campi di mais, cavolfiori, peperoni, pozzi, pochi cellulari, poche strutture turistiche, semafori, niente rotonde, tubi di scappamento, musica balcanica-turca, paesi senza piazza, fabbriche di legname, strade ben asfaltate, cartelli con conteggio progressivo dei chilometri lungo tutte le strade principali, sguardi che si incrociano per lunghi secondi, grosse inquietanti fabbriche abbandonate, cartelli pubblicitari, patatine chipsi, stazioni di benzina all’avanguardia, fiume che scorre accanto alla strada, cabine telefoniche, ruota che gira, testa che chiama una pausa caffè….

….a SARAJEVO: donne e ragazze con il velo, musica araba e orientale, fumo dei cevapi, ponti, bascarsija (il centro storico) con bancarelle e locali lungo le sue via di pietra rosa, bar turchi, scritte arabe, cattedrale, moschee, minareti, pekara (panetteria), scolaresche con guida davanti e addetto alla sicurezza dietro, periferia con palazzoni e bambini ai semafori, edifici abbandonati, fiume, banche, buchi di proiettili nelle case e nei palazzi, cimiteri mussulmani con lapidi bianchissime
lungo le strade, alberi, vicoli, piazzette, biblioteca nazionale, stazione centrale dei treni vuota, internet-caffè, profumo di narghilé, locali notturni, fiume di giovani di sera nelle vie del centro, buchi lasciati dalle bombe (ricoperti di cemento rosso per ricordare il sangue della guerra) nei marciapiedi, fedeli che pregano seguendo la voce del muezzin, ramadan, integrazione, punto panoramico, bus, tram, thè al baretto vicino alla stazione dei taxi, indifferenza, mercatino dell’usato nel ponte, compratori di conigli, fila per la mensa comune,gente che ride, treno che parte…


federico

sabato, ottobre 13, 2007

Perugia-Assisi 2007

-Cosa vai a fare- mi ha detto mia madre la sera prima di partire -Tanto non cambierà niente come sempre-. -Ma che guerre ci sono attualmente per cui andare a marciare- mi ha chiesto mio fratello. Con queste premesse sono partito domenica 7 ottobre alle 3.30 con Ilaria e altre persone per la Marcia della Pace Perugia-Assisi 2007. Ammetto che sono partito non completamente consapevole del valore simbolico di quello che stavo andando a fare e l’avevo presa quasi come una gita (Ilaria e le sue amiche invece erano già entrate nell’atmosfera della marcia dopo che si sono trovate per dipingere delle magliette che hanno poi indossato).
TUTTI I DIRITTI UMANI PER TUTTI: questo è stato lo slogan che ha accompagnato la marcia di quest’anno. A me era arrivata una mail di una associazione legata al Tibet che invitava a vestirsi di rosso in solidarietà al popolo dell’ex Birmania oppressa da una dittatura militare (comunista, come hanno precisato “certi” giornali, come se avesse importanza; una dittatura è sempre una dittatura). Così ho indossato una maglia rossa (ovviamente firmata, non avevo altro di rosso; d’altronde anch’io predico bene e razzolo male) e ho potuto osservare che molti altri l’hanno fatto. Abbiamo fatto quasi tutto il tragitto; non siamo riusciti però ad arrivare ad Assisi centro, sia per la stanchezza (dopo quasi 20 km) sia perché la corriera ci aspettava per il ritorno a casa.
Gente diversa, associazioni diverse, bandiere diverse, striscioni diversi ma tutti uniti da un obbiettivo comune: LA PACE. Ogni persona ha il proprio modo di manifestare e portare avanti la sua idea di pace: chi si batte perché l’acqua non diventi una merce, chi difende la causa di 5 prigionieri politici cubani detenuti in USA, monaci che sensibilizzano sul problema birmano e del Tibet, scout da tutta Italia sia laici sia legati alla religione, studenti delle scuole superiori e dell’università, chi vuole le bombe atomiche fuori dall’Italia, chi difende i diritti dei lavoratori, chi quelli dei disabili, chi difende l’ambiente, chi osserva dalle finestre, chi vuole liberarsi dagli OGM, chi dalla mafia (associazione LIBERA), Emergency, Amnesty International, Sinistra ecologista, CGIL, Comunisti italiani, Acli, Arci, Verdi, Ong da tutta Italia, i No dal Molin.
L’atmosfera che ho respirato è stata davvero fantastica e la gita si è trasformata in una giornata sì di festa ma con la consapevolezza che tutti noi possiamo e dobbiamo impegnarci per costruire giorno per giorno e passo dopo passo un qualcosa di migliore, ognuno con le lotte (non violente) e le idee che porta avanti per poi tutti insieme manifestarle in giornate come questa. L’unica cosa che mi ha fatto riflettere è stata la presenza non indifferente di rifiuti lungo i fossi (tra me e me avevo proposto di fermarsi tutti e di ripulire; si sarebbe fatta una bella cosa e con pochissimo sforzo) e il fatto che molti volantini che venivano consegnati durante la marcia finivano per terra. Ecco, per me la pace è anche rispettare l’ambiente e anche se poi qualcuno avrà pensato che tanto qualcun altro passerà a ripulire,beh iniziamo noi a farlo! I piccoli passi sono quelli che contano!
W LA PACE!

sabato, settembre 29, 2007

Croazia – Bosnia Erzegovina Settembre ’07


.. inizialmente dovevamo andare in Normandia, era un pezzo che se ne parlava, qualche anno fa, quando abbiamo avuto modo di percorrere in macchina quelle lunghe e dritte stradone nelle colline a nord-est della Francia, tra noi dicevamo: “questi posti sono l'ideale per venirci in bici finchè siamo giovani e poi passarci la vecchiaia quando arriverà il momento della pensione”.

Fatto sta che il nostro progetto non è andato in porto per una serie di motivi.

Il nostro "compagno" (così si capisce da che parte stiamo) :-) Guido da un pezzo ci raccontava delle sue esperienze in Bosnia, dei posti che visitava e delle persone che incontrava, al chè ci siamo detti: “perchè non fare un giretto per la Bosnia, e, dato che ci siamo, arrivare a Sarajevo?”.

Infatti il giorno 15 settembre partiamo per questa nuova avventura. L'itinerario comincia da Velika Gorika, una cittadina a sud di Zagabria, scelta per evitare il caos della capitale e, dato che ci spostiamo in macchina, trovare un riparo sicuro per la marea.

Partiamo da Pojana alle 13.30 e dopo 500 km, alle 21.00 arriviamo a Velika dopo esserci persi per un poco a Zagabria.

Deviamo per una stradina a caso e troviamo Tibor, ragazzo croato che prende a cuore la nostra situazione, infatti non avevamo idea di dove parcheggiare la macchina; prima di partire, leggendo in qua e in là, sconsigliavano di lasciare per strada incustodita le macchina, cosa che poi è avvenuta (dopo però avere studiato il posto).

Tibor cerca di aiutarci ma non riesce a trovare una soluzione, è stato è un nobile lo stesso!


16 settembre VELIKA GORICA - KOZARSKA DUBICA 106 km

Il giorno 16 comincia ufficialmente il tour, partiamo verso le nove in direzione Bosnia (BiH), infatti oggi dovremmo arrivare e superare il confine tra la Croazia e la Bosnia.

La strada inizialmente è monotona, cominciamo a vedere le case senza malta, solo bimattone, le quali ci accompagneranno durante tutto il viaggio, poco alla volta ci renderemo conto che sono una costante, dovuta probabilmente alla mancanza di soldi per completare l'opera.

Per cena arriviamo a Kozarska Dubica dove troviamo ospitalità da un benzinaio affittastanze.


17 settembre KOZARSKA DUBICA - BANJA LUKA 91 km.

La giornata comincia in farmacia dove prendiamo un simil nimesulide prodotto in India per motivi di salute, infatti il 50 % della squadra non è in forma, il mal di gola con qualche linea di febbre sta covando..

Oggi la strada è piacevole, attraversiamo delle vallate immerse nel verde degli alberi e dei campi che i contadini sono riusciti a strappare ai monti; l'atmosfera è rilassata, lungo la strada vediamo spesso donne e uomini indaffarati nelle faccende di tutti i giorni, noi abbiamo beccato il "periodo della legna".

Spessissimo vedevamo cumuli di legna pronta per l'inverno e persone intente nello spaccare le "socche".

Tra una sosta, una mela e un caffè andiamo avanti senza problemi, facciamo una fermata in una baracchetta nella quale tre uomini sono indaffarati a bere birra e fumare.

La loro gentilezza quasi ci sorprende quando ci preparano la tavola per il nostro spuntino..

Comincia poco dopo la "strada della morte", 50 km di statale in cui gli autotreni più volte ci hanno sfiorato e dei simpaticoni sfoggiano le loro armi fingendo di travolgerci.

Lo smog delle vetture è continuo, forse la revisione non è obbligatoria.

La fortuna ci aiuta e arriviamo indenni a Banja Luka, ci sistemiamo in hotel.

18 settembre BANJA LUKA - ? (posto imprecisato tra B.L e Jajce)

Usciamo dal traffico cittadino e cominciamo la giornata "lavorativa" , anche oggi purtroppo ci sono dei problemi fisici che durante la giornata ci spingeranno a fermarci nel posto imprecisato. Pedaliamo, ci guardiamo intorno, osserviamo le persone che passano sotto i nostri occhi nello scorrere della strada; i Balcani ci accompagnano nel tragitto, ad un certo punto decidiamo per una pausa nel posto mitico ODMOR dove beviamo un caffè bosniaco ( turco ).

Il posto è spartano ma accogliente, con le galline che ci beccano il pane da sotto i piedi. Continuiamo ancora per poco in quanto la situazione peggiora e decidiamo di fermarci alle 13.00 ca al motel LAV a pochi km dal confine della Repubblica Srpska (Serba), dopo questo comincia Herzegovina.

Passiamo il resto della giornata a letto, leggendo e dormendo.

19 settembre

Appena svegli decidiamo di stare fermi una giornata per motivi di salute.

Come ieri si resta a letto, leggendo e parlando.

20 settembre ? - TRAVNIK km 97

Partiamo mattinieri per recuperare qualche km lasciato indietro nei giorni di fermo forzato, strada piacevole e pedaliamo senza tanta fatica.

Sosta per prendere acqua e mele, troviamo persone simpatiche e disponibili che ci offrono la famosa grappa sligoviz e preziose indicazioni sul percorso giornaliero; volevamo infatti prendere una strada alternativa in modo da non trovare traffico, ma i nostri amici ci dicono, o meglio noi così capiamo, non essere una buona idea in quanto la strada non risulta essere asfaltata.

Nell'avvicinarci alla meta giornaliera passiamo paesini curati e caratteristici; arrivando a Travnik sentiamo l'oriente che c'è stato e tutt'ora c'è.

Molte ragazze con il velo passeggiano per la cittadina, nelle moschee i fedeli pregano -è anche il mese del Ramadan-, noi osserviamo..

21 settembre TRAVNIK - SARAJEVO km 93

Oggi è il giorno che ci porterà nella capitale bosniaca; cominciamo la giornata in salita, in un supermercato veniamo infatti pedinati dalle commesse, temevano furti da parte nostra.

Abbiamo provato per un istante la sensazione che appartiene probabilmente a "chi non è come noi vorremmo".

Immagazziniamo e proseguiamo, dopo ca 80 km per un'autostrada non molto sicura arriviamo alla periferia di Sarajevo.

Enormi edifici popolari aprono l'ingresso al cuore della città, si vedono in modo chiaro i segni delle bombe e dei proiettili sugli edifici.

Non è come entrare in una grossa città e basta, si viene catturati da una particolare sensazione, o emozione, che ti avvolge. Credo sia la suggestione di ciò che è successo in quei luoghi, ma anche il fatto di essere in una città dove convivono, a noi è sembrato tranquillamente, musulmani, cristiani ed ebrei, dove a pochi metri una dall’altra si può vedere una moschea ma anche il campanile di una chiesa…

Alla faccia del PORK DAY.

Giriamo per la città per trovare una sistemazione, a Bascarsija, definito il cuore turco della città, troviamo un ostello che diventerà la nostra casetta per i prossimi gg.

La giornata si conclude con una cena da Barhana, un ottimo locale gestito da ragazzi del posto.

22 settembre

Alle 6.45 siamo per le strade semi deserte di Bascarsija, la temperatura è bassa, ci saranno 8/10 C°, dopo che il ragazzo dell'ostello ci illustra i posti da non perdere cominciamo il tour della città.

Prima tappa alla Biblioteca Nazionale, simbolo del delirio della guerra, bruciata nel '92 assieme a 2 milioni tra libri, saggi, riviste, periodici.

Ci fermiamo a vedere il luogo dove nel 1914 venne ucciso l'arciduca austriaco Francesco Ferdinando d'Austria da parte del nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip (avvenimento che fece scoppiare la prima guerra mondiale[1]). Poco distante entriamo nelle chiesta di S. Antonio dove un attento sacerdote stava preparando dei bouquet di fiori.

Lasciamo la bici in ostello e a piedi giungiamo su un'altura da dove si vede bene la città, sentiamo i muezzin chiamare i fedeli a raccolta, l'eco delle voci ci giunge a 360° infatti le moschee sono disseminate un pò ovunque.

La serata la passiamo girando ancora per il quartiere vecchio, entriamo nel recinto di una moschea (nel periodo del Ramadan non si può visitare l'interno) e restiamo ammagliati dal suono della voce del muezzin e dai movimenti ritmici e inusuali (per noi che non conosciamo) dei fedeli.

23 settembre SARAJEVO – POJANA

Alle 10.26 montiamo nel treno che dopo nove ore ci porta a Velika, arriviamo alle 20.00, la macchina è sana, cena finale e alle 2.30 siamo a casa.

alberto, federico.


[1] Da http://it.wikipedia.org/wiki/Sarajevo

giovedì, settembre 27, 2007

modifica

ho cambiato schermata, se a qualcuno non piace può a sua volta ricambiarla.
ciao

sabato, settembre 22, 2007

scrivere il curriculum

E' una poesia di Szymborska..mi piace la "normalità" con cui sa essere profonda.
Mi piaceva l'idea di "passare" un po' di poesia (ho visto in archivio che anche Neruda è passato di qui)...
Spero non vi dispiaccia.

...ah grazie guido per la dritta sui post..



SCRIVERE IL CURRICULUM


Che cos'e' necessario?
E' necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si e' vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta piu' chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza perche'.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo del valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa,
che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.
E' la sua forma che conta,
non cio' che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine
che tritano la carta.


melania

giovedì, settembre 13, 2007

Skahovica, Agosto 2007

La settimana estiva a Skahovica è stata per me la prima “vera” esperienza bosniaca. Già in occasione della Maratona dello scorso anno avevo visto la Bosnia ma, solo ora me ne rendo conto, non l’avevo davvero vissuta. Dato che a settembre 2006 un assaggio l’avevo già avuto, il primo impatto con Skahovica e la sua gente non è stato “traumatico”. A causa della mancanza d’acqua nella scuola, usuale accampamento durante il campo estivo, noi di Unamano siamo stati ospitati in una casa del villaggio. Questo inconveniente mi ha privata dell’esperienza campeggistica degli altri anni: niente materassini e sacchi a pelo, nessun problema con l’acqua e nessun bambino urlante che cerca di sfondare la porta della scuola di prima mattina. Ma mi (ci) ha regalato un’inaspettata amicizia. Due ragazze di Skahovica (Dina, che ci ospitava a casa sua, e Nihada, che ci aiutava con le traduzioni bosniaco-italiano) sono rimaste con noi per tutto il tempo nel corso della settimana. La convivenza, segnata da un reciproco adattamento alle diverse abitudini ed esigenze, è stata l’occasione per legare ancora di più l’Italia e la Bosnia, non solo con gemellaggi formali ma anche con vere amicizie, che vanno al di là del volontariato. Spero davvero che questo legame che si è creato tra noi e le ragazze possa arricchire e stimolare ancor più non soltanto i diretti interessati, cioè noi, ma anche tutti coloro, italiani e bosniaci, che lavorano a e per Skahovica (e naturalmente la Bosnia intera).
Dopo quasi un anno ho rivisto i bambini di Skahovica e in questa occasione ho potuto anche conoscerli. Ricordo che a settembre dello scorso anno lo sguardo è stato la prima cosa di loro che mi ha colpita. Occhi azzurrissimi o di un marrone intenso che ti catturano con aria di sfida; sguardi intensi, provocatori e pieni di vita. Così sono i bimbi di Skahovica. In un primo momento si avvicinano incuriositi, prorompenti, quasi aggressivi gridando “italianskiiii”. E poi, con la stessa energia con cui all’inizio ti gridavano in faccia o magari ti colpivano con un pugno, ti abbracciano e ti sorridono, ti chiedono se vuoi giocare a palla con loro.
Uno dei nostri “compiti” durante la settimana estiva è proprio l’animazione con i bambini (quest’anno siamo stati aiutati dai volontari italiani che operano a Gornja Orahovica, un villaggio poco distante da Skahovica, e alcune ragazze bosniache); si canta (la maggior parte delle volte in una lingua che è un misto tra bosniaco e italiano), si gioca, si urla tantissimo, ma soprattutto ci si diverte (sia noi che i bambini!).
Anche a Skahovica, come ovunque nel mondo, c’è chi sta meglio e chi peggio. C’è chi ha la fortuna di lavorare all’estero e di poter quindi mantenere discretamente la famiglia in Bosnia, chi il lavoro non ce l’ha proprio. Purtroppo, però, quelli che vivono in situazioni disagiate sono la maggior parte. Durante la settimana abbiamo visitato molti casi sociali (ovvero persone con problemi economici, di salute, ...) e alcuni sono davvero gravi. Inutile dire che tutti mi hanno colpito profondamente, mi hanno fatto riflettere su molte cose di me e della mia vita; ma forse le particolari condizioni di Menissa, una ragazza di 32 anni, e la sua strana malattia, hanno lasciato in me il segno più profondo. Da quando aveva 15 anni convive con un male che non si è ancora riusciti a diagnosticare: cause ancora sconosciute le provocano frequenti svenimenti. Inizialmente, anni fa, questi erano sporadici, accadevano all’improvviso ma raramente. Ora invece Menissa sviene quasi ogni ora. Si può solo immaginare gli effetti psicologici, oltre ovviamente a quelli fisici, che questa sua condizione provoca in lei. Si aggiunga a tutto questo una situazione economica familiare molto precaria e povera. Anche il giorno in cui siamo andati a trovarla, Menissa è svenuta proprio davanti a noi. Non credo dimenticherò mai quel momento.
Oltre alle singole difficili realtà delle varie famiglie del villaggio, ci sono alcuni problemi che interessano Skahovica intera. Per la mancanza di un valido acquedotto ad esempio, molte parti del paese non sono raggiunte dal sistema di tubature e così moltissime famiglie sono costrette a vivere senza acqua corrente in casa.
In queste condizioni, spesso di notevole disagio, tutti nel villaggio si aiutano comunque a vicenda; chi ha qualcosa in più degli altri sostiene economicamente, ma non solo, chi invece in quel momento è in difficoltà.
In disaccordo con questo clima di reciproca collaborazione e sostegno tra gli adulti, ma anche tra i bambini di Skahovica, è il comportamento che ho visto da parte di quest’ultimi nei confronti dei bambini rom (che abitano con le loro famiglie all’inizio del villaggio). L’ultimo giorno di animazione, hanno partecipato ai giochi anche i bambini rom che durante la settimana non erano mai venuti. Gli altri del villaggio di Skahovica non hanno però voluto in alcun modo (nonostante parecchia insistenza da parte nostra) prenderli per mano o disegnare seduti al loro fianco: i bambini “bosniaci” da una parte e i rom dall’altra. Ovviamente il comportamento dei bambini è conseguenza di un certo modo di porsi da parte delle famiglie nei confronti dei rom. Questo significa che l’integrazione e la convivenza su cui lavorare non deve essere soltanto quella tra serbi e mussulmani, ma quella tra tutte le etnie presenti in Bosnia. La strada da compiere è ancora lunga...
Questa settimana mi ha regalato davvero molto. Ho conosciuto e visto da vicino altre realtà, culture, persone, cibi, tradizioni, modi di pensare e di agire. Mi sono sentita così bene durante e dopo quest’esperienza, che sono arrivata a chiedermi se ho intrapreso questo “viaggio”, fisico ma non solo, in Bosnia per aiutare le persone di quel paese o se inconsciamente l’ho fatto anche per me stessa. La risposta non l’ho ancora trovata, ma credo che in fondo questo non abbia davvero importanza.

Ilaria

domenica, settembre 09, 2007

SETTIMANA ESTATE 2007

Questa per me è stata la seconda estate in Bosnia e comunque dopo qualche viaggio fatto durante l’anno mi sento quasi come a casa mia. Questa settimana è stata diversa rispetto all’anno scorso: nel 2006 l’entusiasmo e la paura che mi hanno accompagnato durante la mia prima esperienza del genere, molto probabilmente mi hanno impedito di notare e riflettere su certe cose. Noi di Unamano abbiamo dormito e vissuto a casa di una ragazza (Almedina) del villaggio di Skahovica e con noi è sempre rimasta anche Nihada, una ragazza che ha vissuto qualche anno in Italia e che ci ha molto aiutati con la lingua (con Almedina si parlava in inglese). Nella scuola dove di solito ci si accampava non c’era acqua (il villaggio ha problemi di acquedotto) così siamo stati ospitati da Dina (così tutti la chiamano) che avendo più possibilità “finanziarie” rispetto ad altri, ha a casa una cisterna che le permette di non avere mai problemi di questo tipo. Anche Nihada, a casa della quale abbiamo cenato più volte, ha le stesse possibilità, avendo padre e fratello che lavorano in Italia. La loro gentilezza e ospitalità sono stati davvero fantastici, non avrò mai tante parole per ringraziarle (e grazie anche alla madre di Nihada). Ed ecco la prima riflessione: la differenza quasi abissale tra delle situazioni così ed altre in cui le persone non riescono quasi a sopperire nemmeno ai bisogni primari. Anche quest’anno abbiamo visitato alcuni “casi sociali”, famiglie che hanno evidenti problemi di pagarsi le medicine, il materiale scolastico per i figli, i beni di prima necessità. Molte di queste famiglie non hanno entrate: chi non può lavorare perché è invalido, donne vedove con figli a cui il marito non pensa, e ottenere dei sussidi è molto difficile. Siamo stati a visitare una signora il cui marito era ammalato e non poteva lavorare; quando finalmente era riuscita ad ottenere una specie di pensione e doveva presentarsi con lui all’ufficio per le ultime formalità, lo ha trovato morto in casa. Abbiamo lasciato qualche soldo in più per questa famiglia e lo stesso abbiamo fatto per Fatija, una signora il cui ex marito non vuole che i figli la vadano a trovare (anche i volontari del Sunsokret gli portano gli aiuti senza che il marito lo sappia), e per la ragazza che sviene (Menissa) e che ha bisogno di medicine. L’anno scorso abbiamo anche aiutato un ragazzo che aveva bisogno di materiale scolastico; quest’anno ha finito la scuola e con ottimi risultati ma non può frequentare l’università visto che i suoi genitori non lavorano. Si è pensato ad una specie di adozione a distanza…vedremo se è fattibile. Questi casi ci sono stati segnalati sia da Dino, ma anche dalla gente del villaggio che incontravamo. Seconda riflessione: l’aiuto che queste famiglie hanno da chi ha più possibilità. Visitando alcuni casi sociali abbiamo appreso con molto piacere che qualche volta chi è in difficoltà viene aiutato dai suoi compaesani; c’è chi paga metà del costo dell’autobus per la scuola al figlio di qualcun altro, chi aiuta in qualche altro modo; anche la famiglia di Ademir si è impegnata in questo.Terza riflessione: la non integrazione dei bambini rom (i bambini non gli vogliono nemmeno dare la mano) e allora cosa possiamo fare noi per questo? L’animazione ai bambini può diventare luogo di integrazione attraverso un percorso specifico o resterà solo fine a se stessa? Quest’anno mi sono posto queste domande probabilmente per i motivi sopracitati. L’integrazione tra le due etnie che noi come gruppo di volontari cerchiamo di portare avanti e in cui crediamo, quest’anno è stata messa a dura prova proprio durante una manifestazione fatta appositamente per sensibilizzare la gente sul problema. Il torneo di calcetto tra i villaggi è stato macchiato da una partita palesemente combinata tra due squadre musulmane (Doborovici e Pribava) per non far accedere alla finale la squadra serba di Kakmuz. Le due sono state squalificate dopo aver (quasi) ammesso il trucco ma non l’hanno presa bene e il torneo si è concluso con cori non proprio sportivi e con un rifiuto dei premi che ha fatto capire l’aria che si respirava (il pallone come premio di partecipazione è stato scagliato lontano con un calcio sotto gli occhi attoniti di tutti). Come primo impatto io ho letto questa cosa come una sconfitta che il nostro gruppo di volontari ha subito e non sono riuscito a capire come un semplice torneo di calcetto tra bambini possa arrivare a tanto. Parlando poi con i volontari italiani del villaggio di Doborovici che hanno discusso con i loro ragazzi di ciò che era accaduto, allora capisci che il risentimento è ancora tanto e che forse ci vorrà ancora molto tempo per una pacificazione vera e propria (molti sono profughi che vengono da Srebrenica, dove c’è stato un famoso genocidio di musulmani da parte delle milizie serbe alla fine della guerra nel ’95). Ma quello che mi fa ancora più male è che quando, tornato in Italia, ho raccontato questa storia ad alcuni miei amici, mi sono sentito dire che quello che cerco e tutti i volontari cercano di fare è solo un’illusione, perché gli slavi sono tutti uguali e sono fatti così, arroganti e che solo Tito è riuscito a tenerli “al guinzaglio” (questo mi è stato detto da un amico che viene spesso a contatto durante il lavoro con persone provenienti dai Balcani). Ma allora tutte le persone di diversa etnia che erano sposate tra di loro, tutti gli amici che non badavano alla religione che professava uno o l’altro, la convivenza pacifica che c’è stata prima della guerra e solo frutta di una dittatura? Io non conosco come sono andate le cose ma non penso che uno si svegli alla mattina e ripudi la moglie o il marito solo perché crede in qualcos’altro; penso, e spero non sia la solita retorica, che i responsabili siano i soliti governanti e che il popolo si faccia plagiare troppo. Forse dimentichiamo che anche noi italiani abbiamo avuto la nostra dittatura con la sua conseguente guerra civile e risentimento verso quelle persone che prima magari erano state amiche (le situazione erano molto diverse ma forse il concetto principale della convivenza sta in piedi). Ma quel che è peggio è che io non riesco lì per lì a far capire ai miei amici che non si può generalizzare e che bisogna continuare a lavorare per raggiungere quell’obiettivo in cui si crede. Le persone semplici cercano la pace sia che siano slavi, africani, asiatici, italiani…almeno lasciatemelo sperare.
Guido

giovedì, marzo 01, 2007

Africa














ho vissuto 20 giorni nella Repubblica Democratica del Congo, ospite di Beppino, prete Missionario cugino di mia madre, che io chiamo "zio"...la città è Bukavu in riva al Lago Kivu, una zona montuosa, fertile, verde, con molta acqua.

Riporto la lettera che mi "zio" mi ha chiesto di scrivere come resoconto:



"PRIMO GOL IN AFRICA"

Da Roma ad Addis Abeba non ho mai dormito tale era l’emozione di poter scorgere l’ Africa dall’alto; poi l’arrivo a Bujumbura (Burundi) e tutto è cominciato…quante mani ho stretto, quante risposte ho dato, quanti verbi in francese ho sbagliato a coniugare.Le strade delle città, piene di gente, sono come vene che trasportano il sangue in giro per il corpo…e la senzazione è proprio di una grande vitalità, si viene risucchiati tra la gente e trasportati da sguardi, colori, odori, lavori, mercati.Gente che trasporta l’impensabile sopra la testa e che vive a contatto con la terra…situazioni impensabili se paragonate al nostro mondo, quasi insopportabili e ingiustificabili se si vogliono confrontare con le nostre abitudini; e allora credo che bisogna vedere senza paragonare, capire che si è in tutt’altra situazione…dove avere 9-10 figli è una cosa normale.E’ difficile oscurare le aspettative e lasciare spazio a cio’ che si vede senza restare delusi o meravigliati; nelle città cercavo sempre di capire dove si trovava la piazza centrale, una zona pedonale, la stazione dei treni…tutte ricerche vane, tutti ricordi che mi portavo dietro dall’Italia. Ma qua siamo in Africa, punto e basta; e non in un’Africa che dovrebbe assomigliare all’ Italia. E allora tutto acquista più senso e il solo fatto di guardare fuori dalla finestra diventa una cosa speciale: bambini che giocano, gente che vende qualsiasi cosa, mamme con i figli legati dietro alla schiena, donne che trasportano carichi enormi piegandosi per restare in equilibrio.Con alcuni ragazzi del posto sono riuscito ad attraversare vari quartieri della città, passando tra le case, su sentieri strettissimi, fatti di terra e fango, con porte di ferro usate come ponticelli per attraversare piccoli rigagnoli che scendevano dall’alto; sono passato tra i cortili delle case osservando le mamme preparare il cibo, lavare e allattare. Sentivo la musica della tv fuoriuscire dalle numerose baracche di legno dei parrucchieri, e poi caffetterie, piccoli ristoranti e alimentari…ogni spazio e ogni baracca puo’ diventare un piccolo mercato o negozio.Una città dove la gestione politica sembra assente e la natura prevalere; le case crescono accanto a bananeti, polenta, piccoli terreni coltivati a manioca (uno dei loro alimenti principali). Sono situazioni che raccontate singolarmente non rendono l’idea e che prendono forma se viste globalmente e contemporaneamente.I piccoli villaggi sono circondati da una natura incontaminata, rigogliosa e spontanea, dove non c’è niente in più del necessario e dove la luce del sole o la pioggia, regolano la vita di ogni giorno. Con i ragazzi di uno di questi villaggi, dove le case sono fatte con fango, rami ed erba secca, ho organizzato una partita di calcio: con quattro pali piantati per terra si son fatte le porte, si è recuperato un pallone bucato e si è giocato. Ha vinto la mia squadra 1-0, gol mio…gol del “muzungo” (il bianco)…l’unico che si smarcava per avere la possibilità di restare solo davanti alla porta, tutti gli altri erano ammassati sulla palla…l’idea di restare soli sembra non faccia parte delle loro abitudini…”primo gol in Africa”, prima esperienza in questo enorme continente, in questa piccola parte del Congo dove ho intravisto gioia, miseria, fatiche, sorrisi, sguardi, rughe, terra, sole, pioggia, fango, fiumi, alberi, laghi, animali, monti…dove i bambini mi indicavano e mi guardavano a bocca spalancata perché avevo sbagliato il colore della pelle e dove i più grandi, molto spesso, speravano di trovare in me un aggancio per migliorare la propia situazione, con la speranza magari un giorno di poter mettere piede in Italia.Ho visto una vita difficile, fatta di sforzi fisici, dove quasi tutto deve essere fatto a mano, dove il cibo è scarso e da condividere e dove la luce e l’acqua corrente sono cose per pochi…e ancora ho visto abiti da festa, chiese strapiene, chierichetti danzare, cori cantare, gente ballare, ragazzi studiare…iniziative bellissime, gestite da missionari, suore e laici. Le parrocchie sono veri punti di riferimento per la gente della città e dei villaggi e questo si nota dal grande rispetto e cordialità che la gente del posto ha nei confronto dei “Padiri”.Ho imparato a conoscere la modestia di mio “zio” Beppino e so che non vorrebbe che io parlassi di lui e quindi dico solo che è una grande persona, umile e decisa, che ha fatto e continua a fare grandi cose, e chi lo conosce lo sa.Non posso che ringraziare lui e tutti quelli che mi hanno ospitato, riservandomi sempre un trattamento speciale…c’è chi è felice di avere uno “zio d’America”, io sono contento di avere uno “zio” d’Africa.

Federico