sabato, settembre 06, 2008

Estate in Bosnia 2008

Ciao a tutti. Inserisco le relazioni di Ilaria e di una volontaria (Anna) alla sua prima esperienza estiva in Bosnia.
Io sto ancora scrivendo la mia. Questa volta non mi è semplice scriverla; trovo poche parole; comunque arriverà.

Ciao

GUIDO


Ecco quella di Ilaria

SKAHOVICA, 9-17agosto2008
Elisa, Elena, Anna, Nicola, Daniele, Alice, Carlo, Diego, Gianni, Erminia, Silvia, Laura, Guido, Ilaria

APNEA. Credo sia questa la parola più adatta per descrivere la settimana trascorsa a Skahovica quest’anno. Un’unica lunga immersione nel mondo bosniaco, senza il tempo (e forse anche la voglia) di prendersi un momento di pausa dai mille impegni, attività, cene, riunioni...
Come tutti sanno, un’immersione è sempre un’esperienza meravigliosa ma assolutamente faticosa, un’avventura da togliere il respiro tanto è difficile ed emozionante.

Al contrario dello scorso anno la settimana estiva a Skahovica ho cominciato in qualche modo a viverla già qualche mese prima. Ancora alla fine dell’esperienza estiva dello scorso anno mi ero proposta per occuparmi nel 2008 dell’ attività mattutina con i bambini. Ho sentito il bisogno e in qualche modo il dovere di dedicare del tempo a rendere “sensata” l’animazione con i bimbi, a darle un significato, uno scopo. Lì in Bosnia i giovani dei villaggi trascorrono la maggior parte del tempo a giocare fuori all’aperto e quindi i momenti di ritrovo non mancano di certo; per questo secondo me era necessario rendere il “nostro” momento di attività, un po’ SPECIALE e non un normale ritrovo nel campetto. Così è arrivata la scelta di organizzare con più meticolosità le attività, di sviluppare dei temi ogni giornata, di far fare loro dei lavoretti manuali (per noi è scontato poter avere a disposizione tutto quel materiale, ma lì da loro attività del genere sono rare!... infatti TUTTI i bimbi, anche i più terribili, si sono dedicati ai “lavoretti” sempre al 100%). Nonostante le “restrizioni” dovute al fatto di dover seguire i giochi organizzati, al fatto che non ci fossero tempi morti, che le attività fossero dense e sistematiche, i bambini si sono sentiti in qualche modo accompagnati attraverso un viaggio, “costretti” a restare sempre mentalmente e fisicamente presenti all’interno dei vari giochi o lavoretti. Questo, come mi ha fatto giustamente notare qualcuno, sarebbe potuto risultare troppo soffocante per i bambini, troppo “scolastico”; forse questo “tenere dentro gli schemi” ogni attività avrebbe potuto rivelarsi controproducente, limitando il loro divertimento e la loro creatività invece di stimolarli. Personalmente, dopo aver vissuto e, i giorni successivi, ripercorso mentalmente ogni singola giornata mi sento di dire che invece la cosa è funzionata. Ho visto i bambini contenti e divertiti, più dello scorso anno quando erano lasciati totalmente liberi, a volte anche sorpresi ed eccitati solo per il fatto di poter indossare una parrucca o costruirsi una maschera. Tutto questo è stato possibile solo per il fatto che eravamo in tanti a seguire con attenzione ogni istante della mattinata, ognuno con il suo compito (un grazie particolare a Carlo e alla sua magica chitarra!); per il fatto di essere stati in tanti anche a preparare l’occorrente il giorno prima (qui un grazie particolare va alle nostre ragazze super creative!). Grazie davvero a tutti per aver dato vita a quello che era solo un semplice lavoro cartaceo, per averci creduto e aver faticato per portarlo fino alla fine. Ogni istante trascorso sul cemento rovente di quel campetto è stato da noi sudato (proprio nel senso fisico del termine) ma, parlo per me e spero anche per tutti gli altri, utile, pieno di soddisfazioni e anche divertente. Forse alcuni momenti per noi italiani durante l’animazione sono stati anche un po’ stressanti (sì lo so di avervi spesso rotto le scatole!) e impegnativi, ma non dobbiamo dimenticarci che sempre durante la settimana, ma soprattutto in quelle tre ore mattutine, sono LORO i “protagonisti” e noi degli “aiutanti” volontari che, se necessario per rendere efficace e utile un qualcosa, devono faticare per raggiungere lo scopo.
Una riflessione va fatta sicuramente anche sulla presenza dei bambini rom durante i giochi mattutini (3 giorni su 6! Direi bene rispetto all’anno scorso!). A distanza di un anno (ovviamente) non è cambiato nulla. L’atteggiamento dei bimbi “bosniaci” verso i rom è sempre lo stesso: magari ci gioco anche vicino, ma a toccarli non ci penso proprio! Quant’è complicato! Di certo non possiamo arrivare noi lì e obbligarli a prendersi per mano! Chi siamo noi per pretendere da loro questo radicale cambiamento di mentalità verso i rom? (se leggessero i nostri giornali e vedessero cosa stiamo facendo noi, “PAESE AVANZATO”, con i rom -impronte digitali,ecc- probabilmente e giustamente ci manderebbero a quel paese!). Come fare allora? Oltre a tentare di farli giocare insieme e invitarli a venire alla festa serale per le famiglie, non vedo cos’altro potremmo fare per non intervenire pesantemente e prepotentemente in meccanismi che neanche a casa nostra riusciamo a districare. Davvero difficile...

Per quanto riguarda il resto del tempo durante la settimana...aiutoooooooo!Non c’è mai stato un momento libero, sempre, ma proprio sempre super impegnati, ogni istante era occupato da un’attività, una cena, una riunione! Per quanto ufficialmente siamo noi a portare lì i soldi, le attività, noi stessi,... in realtà una volta arrivati lì sono loro che danno TUTTO a noi: la scuola, le docce, le cene, i pranzi, il loro tempo, le loro birre...Ogni volta che ritorno a Skahovica mi sento sempre più ospite e sempre meno “necessaria”; e per questo mi rendo conto di dover dare il massimo in tutte le cose che faccio lì, siano queste i giochi coi bambini o il dire sì a tutti quelli che ci invitano a casa loro a cena, di cercare di riservare meno tempo possibile a me stessa (che comunque non manca di certo), ogni secondo viverlo per e soprattutto con loro.
La convivenza in 14 persone all’interno della scuola in complesso è andata bene, con i normali momenti di crisi di ognuno (io per prima!). Il gruppo era affiatato e ci siamo divertiti molto. I turni sono stati decisamente necessari per far funzionare i meccanismi “casalinghi” e per dare a tutti la possibilità di contribuire, anche se Gianni ed Ermy si sono presi loro gli oneri maggiori da questo punto di vista...fantastici! Ci hanno viziati e coccolati per tutta la settimana! Dolci e premurosi come sempre!
Anche quest’anno ci hanno accompagnati e accuditi per tutta la settimana i ragazzi del Sunsokret, in particolare Dina e Nihada. Come sempre le ragazze sono fantastiche, disponibili al cento per cento, sempre pronte e soggette ai nostri infiniti minuti di ritardo, ai nostri improvvisi cambiamenti di programma...riguardo a questo dovremmo sicuramente sforzarci un po’ di più per migliorare!

Come ogni anno il pomeriggio era dedicato ai casi sociali. È questo il momento in cui mi rendo più conto di quante famiglie disastrate ci siano ancora in Bosnia, a Skahovica e di quando sia importante per loro il fatto di vederci lì ogni anno...no, non perché portiamo giù quei tre soldi, ma semplicemente perché si sentono ricordati, non si sentono soli. Fatija, una vecchia donna di Skahovica che vive sola ed è ammalata, quest’anno mi ha fatto capire proprio questo. Siamo andati a trovarla io, Erminia, Elena e Nicola; nonostante abbia davvero poco per vivere, come d’abitudine ci ha offerto caffè e biscotti. Dopo aver parlato un po’ insieme con noi si è ricordata di Erminia, che, ci dice, era andata a trovarla anche gli anni prima. Si è commossa del fatto che dopo anni lei era ritornata a trovarla. Questo mi ha fatto capire definitivamente quanto avevano già cercato di spiegarmi a suo tempo Gianni, Erminia e Silvia, quando esponevo loro le mie insicurezze sul nostro ruolo lì. È importantissima, più di quanto crediamo, la nostra presenza in Bosnia: nel nostro piccolo dimostriamo che “il mondo” dopo più di dieci anni dalla fine della guerra non si è dimenticato di loro; solo perché al telegiornale non appaiono più le immagini strazianti di un popolo martoriato da un conflitto, questo non significa che in attimo tutto il dolore sia cessato.
Molto emozionante è stata anche la consegna di una carrozzina a una ragazza del paese. Già dalla nascita non era in grado di camminare, e fino ad ora era stata sua mamma a spostarla e a portarla in giro, sempre caricandosela in spalla o prendendola in braccio; ora però la ragazza ha vent’anni e gli spostamenti erano diventati molto faticosi. La commozione e la gioia negli occhi di sua mamma al momento della consegna non hanno veramente prezzo.

Ricordo che fin dal mio primo passo in Bosnia, ho sempre avuto il desiderio di chiedere alla gente di parlarmi della guerra, per capire e per sentire di più quello che facevo lì. In realtà però finora, forse per timore di essere poco delicata e inopportuna, forse per semplice paura di sentirmi raccontare cose troppo dolorose non ero mai riuscita a formulare la domanda. Quest’estate invece, forse coinvolta emotivamente dall’atmosfera di Tuzla, passeggiando tra le vie della città, ho chiesto a Dina cosa si ricorda della guerra. Non appena mi sono sentita pronunciare quelle parole, ho avuto la piena coscienza del fatto che stavo chiedendo AD UNA MIA COETANEA di raccontarmi della sua infanzia...io avrei raccontato di giochi, vacanze, scuola, lei mi parlava di bunker e di guerra. Ovviamente nel bel mezzo del racconto io mi sono messa a piangere; non credo di essermi mai sentita più scema in vita mia. Lei che quelle cose le aveva vissute in prima persona e pochi anni fa, consolava me che queste cose le sentiva solo raccontare. Mi sono resa conto di quanto fragili siamo noi, di quanto non abbiamo idea della sofferenza causata da un conflitto.

Il giovedì pomeriggio sono stati organizzati a Doborovci dei “giochi senza frontiere” insieme a tutti i villaggi dove operano gli altri comitati italiani. Grazie anche alla perfetta organizzazione il tutto è riuscito alla grande! I bambini hanno fatto gruppo e si sono veramente divertiti! La rivalità tra le squadre per fortuna quest’anno si è manifestata raramente e in modo puramente agonistico (l’antagonismo nasceva solo dalla voglia di voler vincere, e assolutamente non dal voler battere una squadra di diversa etnia, come invece era successo lo scorso anno). Sono stata veramente colpita e molto contenta di veder partecipare anche Karanovaz, nuovo villaggio “gemello” del comitato Perché no? di Cittadella. I ragazzi di questo comitato, che già lavora a Soko, villaggio mussulmano, hanno deciso di intraprendere questa nuova “avventura”, avvicinandosi anche a Karanovaz, villaggio serbo. Davvero bravi e coraggiosi!

Rubo e inserisco maldestramente nella mia relazione una riflessione di Carlo che mi ha colpita molto...ci raccontava che, di ritorno a piedi dalla tenuta di Edo, si sentiva come catapultato nel mondo del Signore degli Anelli, nella contea dove vivono gli hobbit...circondati da queste colline verdeggianti con paesaggi mozzafiato, tutti in paese si salutano e ti salutano nonostante tu sia uno sconosciuto. Forse anche per la mia passione per quel libro, mi sono fatta rapire da questa immagine meravigliosa che ha proiettato Skahovica in una “favola” e mi sono sentita davvero fortunata di poter vivere tutto questo...

Solo ora, al ritorno, anche grazie a qualcuno del gruppo che me l’ha fatto notare, mi sono resa conto che forse durante la settimana lì, mi sono concentrata troppo sulle singole cose che dovevamo fare, ho dato troppa importanza alle specifiche azioni di ognuno di noi. Forse non avevo veramente capito (ma ora sì!) che la Bosnia va anche vissuta, che volontariato non è necessariamente sinonimo di sacrificio ed espiazione, ma può consistere anche in una bevuta e una cantata con i Bosniaci; comunque e sempre con la coscienza del fatto di essere ospiti lì e di avere uno scopo ben preciso, cosa che deve avere la precedenza su tutto, punto focale su cui concentrare la maggior parte delle nostre energie e del nostro tempo.

Nonostante i ritardi, alcune incomprensioni, alcuni momenti di vero panico (ma come potevano non accadere se si è in 14 a vivere sotto lo stesso tetto per una settimana con tutte quelle cose da fare?!)... io spero veramente che a tutti, vecchi e nuovi, sia rimasto un bel ricordo di questa settimana, da poter rivivere l’anno prossimo o semplicemente da portare dentro di sé come un’esperienza unica...

Ilaria
28 agosto 2008


E quella di Anna:



L’idea di partire con i volontari di Unamano per il villaggio di Skahovica in Bosnia Herzegovina quest’estate è per me nata dal voler scambiare una settimana delle mie vacanze con una settimana “al servizio”, e provare un’esperienza diversa: diversa dai viaggi studio, diversa dalle ferie in relax italiane, diversa dai campi di lavoro che già faccio...
Partire è stato molto semplice, un paio di riunioni utili più a chi veniva per la prima volta per conoscersi che ai “veterani” per organizzare, dato che gran parte della programmazione era già pronta; qualche raccomandazione e spiegazioni e via, in direzione Bosnia!
In frontiera l’impatto iniziale è sempre fortissimo: nonostante avessi già fatto il viaggio in occasione della maratona nel 2006, non riesco e non voglio abituarmi alla vista delle prime case distrutte vicino al confine, i buchi delle pallottole sulle pareti, le croci serbe disegnate tra le finestre senza infissi … la desolazione ti entra dentro subito e il viaggio che, abbandonata l’autostrada, si fa più lento e silenzioso, prosegue accompagnato da una grande sensazione di tristezza.
Cresce però anche la trepidazione e dopo tredici ore di viaggio che non finiscono mai, cominciavo a sentire più vicina la meta e non vedevo l’ora di arrivare per rivedere-risalutare-riconoscere-riscoprire tutto ciò che sarebbe stata la nostra casa per una settimana.
A Skahovica l’accoglienza è stata commuovente, i ragazzi del Sunsokret ci aspettavano da parecchie ore e scherzano sul nostro ritardo tipicamente italiano, hanno già aperto la scuola, ci danno subito le prime notizie per la settimana e l’impressione generale è bellissima, si respira forte il grande affetto che lega i volontari di San Giorgio ai ragazzi: Dino, Nihada, le loro famiglie, le persone che si sono avvicinate negli anni.
Da questo momento in poi, le cose si sono susseguite con una velocità impressionante, ogni ora, ogni giornata, ogni sera era riempita dai mille impegni, situazioni, eventi che dopo un anno di lavoro dall’Italia sembravano quasi sacrificati in una settimana in Bosnia.
Tra tutto comunque, quello che principalmente riempiva le nostre giornate erano tre cose: l’animazione con i bambini al mattino, la visita ai casi sociali e le riunioni al pomeriggio, le “pubbliche relazioni” alla sera (con i ragazzi del paese o con i volontari degli altri comitati).
Bellissime le ore trascorse con i bambini nel campetto sotto la scuola … per loro è il ritrovo abituale dei giorni di vacanza e non, del resto le loro case spesso sembrano fatte più per stare fuori che per abitarci dentro, è incredibile come alle nove del mattino siano già tutti per strada che girano, piccoli e grandi assieme e giocano, con le patatine in una mano, la Coca Cola nell’altra!
Per conquistarli ci vuole davvero poco, soprattutto con i più piccoli, basta cantare Pepito di Maiorca qualche minuto per farli rallegrare! Poi con il lavoretto si avvicinano anche i più grandi e al momento dei giochi sono tutti in campo che si sfidano per partire prima degli altri!
Non era facile sicuramente gestire le tre ore dell’animazione, davvero in ogni momento per una distrazione potevi perdere il controllo della situazione, in certi momenti era addirittura più snervante dover essere sempre attento a non lasciare in giro le forbici, i palloncini, le bottiglie, i palloni piuttosto che stare con i bambini!
Comunque tra noi italiani c’era una forte intesa, anche l’essere in tanti forse ci ha semplificato un po’ le cose, come è stato fondamentale per me il fatto che ci fosse sempre almeno una persona tra noi (grazie Ila) che avesse la piena consapevolezza dei giochi da preparare in programma, perché in mezzo alla confusione ritrovavamo un punto di riferimento da cui poter ripartire assieme in ogni momento. Una fortuna poi era avere con noi Nihada e Almedina: il loro era un aiuto davvero prezioso, credo che senza di loro anche gran parte dei giochi e lavoretti che avevamo pensato non sarebbero stati per nulla attuabili, a causa delle ovvie difficoltà della lingua, o anche solo per l’autorità che loro due riuscivano benevolmente ad ottenere dall’insieme di bimbi rispetto a noi italiani.
Accompagnare Silvia e Ilaria a visitare i casi sociali è stata un’altra esperienza forte. La mia parte era solo quella della spettatrice e sapevo poco delle condizioni delle famiglie che incontravamo, ma è stato un modo molto diretto per entrare nelle case, nelle situazioni del quotidiano, talvolta erano i genitori degli stessi bambini che già conoscevamo… I bisogni erano dei più disparati: viveri, medicinali, materiale scolastico, un intervento chirurgico … Il pensiero di come da noi molte cose siano scontate e quasi senza valore mentre lì le possibilità di scelta si riducano al minimo essenziale.
Nel vedere una persona ammalata o con handicap non riuscivo a non chiedermi come sarebbe stata diversa la sua vita se fosse stato in Italia, con cure mediche adeguate e gratuite, contro una vita che invece lì è precaria e incerta per molti aspetti.
È stato bello in quest’occasione poter notare l’intesa che c’era tra i volontari italiani e i ragazzi del Sunsokret del paese: la loro disponibilità a prendersi a cuore le tante situazioni e seguirle autonomamente nel corso dell’anno preoccupandosi di trovare la soluzione migliore per l’acquisto del materiale o la distribuzione del denaro donato dall’Italia. Non mi sembrava una cosa per niente scontata, mi ha fatto pensare al lavoro portato avanti negli anni a Skahovica, i traguardi raggiunti avvicinando questi ragazzi e il sogno di poter costituire una sorta di comitato parallelo che lavori anche lì durante l’anno per raccogliere dei soldi da regalare agli stessi compaesani … è un compito difficile ma molto significativo.
Spesso riflettevo sul senso delle nostre attività, sulle ragioni che ci facevano passare ogni mattina tre ore sotto il sole in un campetto di cemento con una confusione di bambini attorno, o dedicare del tempo ad una famiglia che ci aveva invitato a cena nonostante le poche possibilità …
Mi chiedevo che cosa stavamo portando noi a questa gente?Volevamo mostrargli il nostro benessere? Le comodità e le illusioni di una vita facile contro quella la loro vita di fatiche?
Che significato poteva avere per me affezionarmi ai bambini che ogni mattina puntuali si facevano rivedere alla scuola?
Un po’ mi veniva da pensare che questa settimana di attività fosse solo un regalo grande che potevamo fare a tutti queste persone e quei bambini che non hanno le nostre mille possibilità di svago e divertimento, il mio regalo per loro era la voglia di dire: per questa settimana non mi interessa nulla di me, se mi diverto, se sono a mio agio, voglio solo stare con voi e provare a volervi bene, grandi, piccoli, musulmani, rom, simpatici o rompipalle che siate!
Poi mi rendo conto che forse non è vero, forse quelle ore spese a giocare, a visitare, a sorridere cambiano la vita più a noi che ai bimbi di Skahovica, un pochino alla volta ci fanno accorgere del valore dell’andare sempre in contro agli altri, del desiderio di dedicare una parte della nostra vita ad una ragione più profonda o che sentiamo più vera per noi … Io lo sentivo forte: il nostro era uno sforzo piccolo in confronto a ciò che ricevevamo in cambio!
Quello che mi resta ora, a distanza di una settimana dal rientro in Italia, sono delle immagini più o meno forti: il ricordo del pomeriggio di giochi a Doborovici, la poca sportività dei bambini più grandi, l’ingenuità di quelli più piccoli, la gioia comunque di tutti per l’essere là a partecipare.
Il dover scusarsi mille volte per tutti i malintesi, confusioni, imprevisti che ci facevano ritardare agli appuntamenti con la gente, la difficoltà di dire di SI a tutti e mantenere l’impegno preso.
Il fare famiglia tra noi volontari, prima con Gianni ed Ermy che ci “accudivano”, poi senza ma comunque dignitosamente. Ognuno con il suo carattere, la sua storia, la sua vita ma con un’idea comune che bene o male ci univa; il bello del “mettere assieme” che fa apportare sempre qualcosa di ciascuno alle attività o alle giornate, fosse anche solo animare le serate o proporre un gioco…
La bontà di Gianni ed Erminia, vedere la loro passione nel portare avanti alcuni progetti il loro affetto per alcune persone di Skahovica (mi ha colpito la storia con le gemelle) ed anche il modo che avevano di stare con noi, pieno di attenzioni, riguardi, non me lo sarei aspettato.
La disponibilità di Nihada e Almedina, il loro modo di fare diretto che ti fa affezionare subito, l’aprirci la casa ogni volta che ne avessimo necessità (forse pure approfittandone talvolta), l’amicizia che le lega ai ragazzi di Unamano.
Le difficoltà di integrazione dell’etnia rom: emergevano chiaramente durante l’animazione con i bambini, loro rifiutavano addirittura il contatto, neppure darsi la mano, per non pensare a cosa si dicevano e noi non potevamo capire! Pensare che forse le nostre attività dovrebbero volgere anche verso questa direzione ma non è facile, sembra di entrare in tradizioni radicate, dovremmo farlo in punta di piedi, con attenzione, disposti a capire una mentalità che non conosciamo prima di giudicare. Era spesso difficile anche per me stare con i bambini rom, solo ragionando con la mente capivo l’importanza di dare l’esempio e cercare di avvicinarli nonostante i loro caratteri a volte arroganti.
Il ricordo dei tanti incontri, di tante persone, di tanti visi conosciuti, le loro storie, le loro case: Nihad, Edo, Michred, Sehrzada, Admir, Zaim... sono solo i primi che mi vengono in mente.
Infine il paesaggio, non mi stancavo mai di fermarmi a guardare le colline, i boschi, il verde trapuntato di casette rosse, le poche costruzioni, le poche strade, la natura ancora molto presente, l’odore degli animali, i carretti trainati dal cavallo… delle immagini che qui non vedremmo davvero mai; la speranza di poterle trovare ancora lì, almeno per qualche tempo.


Anna
26 agosto 08

2 commenti:

ew..a ha detto...

grezie per mettere le vostre esperienze nel blog...appena ho calma le leggo, avete scritto un sacco di cose segno che è stat una esperienza "ricca"...guido aspetto la tua impressione da veterano, ciao

zufede

ew..a ha detto...

finalmente sono riuscito a leggere la vostra esperienza bosniaca, è uno scandalo averci messo così tanto tempo ma così è.
sono state delle relazioni dettagliate che hanno permesso al mio logorato cervello di cocentrarsi sulle persone, si vede l'entusiasmo carico di determinazione e di voglia di vivervi; si leggono nelle vostre parole l'entusiasmo e l'amicizia che vi siete lasciati alle spalle, immagino le faccie anche smorfiosette di questi bimbi abituati a giocare per strada.
sarebbe interessante poter leggere le impressioni che avete lasciato.
grazie