giovedì, settembre 29, 2005

onnivori : consapevole oppressione ?

in questi giorni in particolare mi trovo in una strada che finora mai ho percorso, l'essere vegetariano. è da un pò di tempo che medito sulla decisione, non sono mai stato un grande consumatore di carne ma ogni tanto la mia bistecchina o il panino con il prosciutto li mangiavo senza farmi troppi problemi o meglio ci pensavo ma senza ragionare più di tanto sull'atto di mangiare un animale che era vivo prima di trovarmelo di fronte preparato in qualche succulento modo..a tale proposito vorrei proporvi una lettura di una saggista americana che ne parla come mi sarebbe piaciuto parlarne a qualcuno perchè capisse cosa voglio dire.
questo pezzo è estrapolato dal sito www.agireora.org ed è parte di un libretto informativo scaricabile quì http://www.agireora.org/materiale/pdf/scm_impaginato.2.pdf ne consiglio la lettura per chi sente l'argomento o almeno è in dubbio, è lecito o no mangiare animali ?
ew..a


L’animale come referente assente Paola Segurini

Il saggio The Sexual Politics of Meat: a Feminist-Vegetarian Critical Theory, scritto nel 1990 da Carol J. Adams e ristampato lo scorso anno, è un’opera base per la comprensione di alcune delle istanze che costituiscono i fondamenti del movimento per i diritti animali americano.
L’autrice americana – che si occupa fin dagli anni Settanta di portare avanti le battaglie contro gli abusi nei confronti della minoranze etniche, contro la violenza sessuale in ambito familiare e sociale e per i diritti degli animali non umani – ha sviluppato, per spiegare il motivo per cui la gente si ciba di animali e le difficoltà che si incontrano nell’affrontare l’argomento, la struttura del referente assente, teoria che può sembrare ostica da comprendere ma che, a mio avviso, è illuminante ai fini dell’analisi delle strategie che l’essere umano adotta per potersi nutrire di animali senza sentirsi in colpa.
Per una migliore comprensione della teoria vediamo come Carol Adams è diventata vegetariana (oggi è vegan). In diversi dei suoi testi ella racconta di quando, tornata nella sua cittadina in campagna durante le vacanze universitarie, venne chiamata da un vicino che le comunicava l’uccisione, da parte di ignoti, del suo pony. La sera stessa, disperata per questa morte, improvvisamente aveva smesso di addentare il panino con hamburger che stava mangiando, fulminata dal pensiero di piangere la morte di un animale mentre si nutriva di un altro. Si era chiesta la differenza tra il pony, che avrebbe seppellito con dolore il giorno seguente, e la mucca morta, ma non era riuscita a trovare nessuna difesa di tipo etico per giustificare un favoritismo che avrebbe escluso la mucca dalla sua compassione solo perché non l’aveva conosciuta e un anno dopo era diventata vegetariana.
Dietro ogni pranzo a base di carne c’è un’assenza: la morte dell’animale del quale la carne prende il posto. Tramite la macellazione, spiega Adams, gli animali diventano referenti assenti, cioè vengono resi assenti in nome e corpo come animali, per permettere alla carne di esserci. Le loro vite precedono e permettono l’esistenza della carne, gli animali vivi però non ne permettono l’esistenza, così il corpo morto rimpiazza l’animale vivo e, nel momento in cui il linguaggio rinomina il suo cadavere, prima che i consumatori partecipino all’atto di mangiarlo, la sua presenza diventa assenza.
La funzione del referente assente è di mantenere la nostra carne separata dal fatto che una volta era un animale, per evitare che qualcosa sia visto come quello che era stato qualcuno.
La nostra cultura mistifica ulteriormente il termine carne tramite il linguaggio gastronomico, così le parole non evocano più animali morti macellati, ma cuisine. Mentre il significato culturale del cibarsi di animali muta storicamente, una parte del carnivorismo rimane statica: non è possibile mangiare carne senza la morte dell’animale. L’animale vivo diventa così referente assente nel concetto di carne. Tramite il referente assente possiamo quindi dimenticare l’animale come essere senziente.
Carol Adams descrive il ciclo di oggettificazione, frammentazione e consumo degli animali (che essi hanno in comune con il processo subito dall’immagine della donna, nella condivisibile ottica femminista dell’autrice) e conduce il lettore a un’analisi di come la macellazione converta gli animali da esseri viventi che respirano in oggetti morti.
A livello verbale il processo fisico della macellazione viene riassunto con termini che ne sanciscono l’oggettificazione. Gli animali sono trasformati in non-esseri, in unità produttive di cibo, ridotti a consistere di parti commestibili e parti non commestibili. Essi, dopo l’uccisione, scorrono su una catena di smontaggio e perdono parti del loro corpo ad ogni fermata. L’essenza della macellazione è quindi, tramite gli strumenti utilizzati, la sparizione totale di creature indifese, che debbono essere considerate come oggetti inerti, da sezionare fino a renderli adatti al consumo.
Il consumo è il completamento dell’oppressione, l’annichilimento della volontà, dell’identità separata. Attraverso la frammentazione, l’oggetto viene scisso dal suo significato ontologico e quando viene consumato esiste solo tramite ciò che rappresenta. I pezzi dell’animale, rinominati, permettono al consumatore di cambiare la propria concettualizzazione dell’animale, per allontanare ancor di più l’animale vivo, il cucciolo. La cottura, l’aggiunta di spezie, aromi e altro contribuiscono a oscurare la vera natura di ciò che si trova sul nostro piatto. Privata del referente-animale macellato e sanguinante – non dimentichiamo che i macelli sono da sempre luoghi chiusi e separati dalla realtà sociale – la carne diventa un oggetto consumabile
La macellazione è un atto che appartiene solo agli esseri umani, gli animali carnivori uccidono e consumano direttamente la preda, per loro non esiste un referente assente, ma solo un referente morto. Il consumo da parte degli esseri umani del referente assente-animale reitera l’annichilimento di quest’ultimo come soggetto importante in se stesso e nello stesso tempo evidenzia il tristissimo contrasto tra i vegetariani, che nella carne vedono la morte, e i carnivori, tanto convinti che la carne sia vita da voler oscurare e camuffare con tutti i mezzi e a tutti i livelli ciò che essa è in realtà.

8 commenti:

ew..a ha detto...

anche io sono arrivato alla fase transitoria ma non è facile, sopratutto finchà la convinzione non si è radica come un baobab nel terreno.
negli ultimi giorni ad esempio mentre eravamo in vacanza quasi senza saperlo ho mangiato un panzerotto con il prosciutto, dico quasi senza saperlo perchè non sempre gli ingredienti sono esposti, credendo fosse una semplice pasta salata l'ho presa senza chiedere al commerciante cosa avesse all'interno. per dire che bisogna sempre avere la forza e la voglia di andare a fondo in ogni cosa e in qualsiasi momento. ( sopratutto se si tratta di un principio )
altra circostanza è stata una mangiata con pasta al ragù e pesce come secondo. ci è capitato perchè non avevamo ancora la convinzione di affermare una cosa che è naturalissima ( no grazie non mangio un mio simile o meno drammaticamente sono vegetariano ) e che deve rendere orgogliosi chi la pratica. non inorgoglire per dire io sono meglio di te ma pensando che sto compiendo un'azione che non danneggia nessun essere vivente.
sono sempre più convinto che sia oltre che la mia strada ma l'unica strada per non autodistruggere il pianeta.

come si fermano gli spammatori ?

ew..a ha detto...

Anche io sono in un periodo in cui stò rafforzando certe mie convinzioni. Penso che un momento fondamentale sia quel passaggio che trasforma un’ idea, che sai essere (per te) giusta, in un comportamento senza il quale non ti senti a tuo agio. Cioè mentre prima riuscivo in qualche modo a convincermi e a giustificare alcuni miei comportamenti incoerenti con la mia “morale”, ora non li tollero più e sono disposto ad affrontare situazioni inedite e magari “complicate” perché sono veramente convinto di quello che faccio e sò che senza uno sforzo, un “sacrificio” (che può essere anche positivo) non si ottiene un buon risultato. Fatto questo passaggio avrò a che fare con altri bivi in cui dovrò “aspettare” o meglio cercare il momento per decidermi a prendere una certa strada…è come avanzare di livello in livello in un gioco personale…dico personale perché ogni persona dal suo punto di vista può giustificare certe scelte che per me possono essere assurde.
Però quando si entra in una certa ottica è difficile giustificare certe azioni che portano a delle conseguenze drammatiche…è bellissimo questo articolo perché sottolinea come si cerca in tutti i modi di giustificare o di non sentirsi in alcun modo complici di questo sterminio di massa che ogni giorno va avanti.
Personalmente vedo l'uccisione di un animale come un gesto altamente innaturale in una società come la nostra in cui si potrebbe benissimo farne senza. Però riesco a capire che in certe zone, in cui c'è poca alternativa e scelta, la carne è ancora una risorsa essenziale...cosa ne pensate?
Cioè non riesco a far valere le mie idee pensando alle varie situazioni che esistono nel mondo...
zufede

per gli spammatori non saprei come fare se non ignorandoli

ew..a ha detto...

in certe zone è improponibile che non venga usata la carne, però la usano non la consumano come facciamo noi abusandone in tutti i modi. nei paesi poveri solo la religione riesce a non fare mangiare animali, per il resto sono troppo importanti come fonte di cibo. la cosa essenziale, è che noi possiamo scegliere se mangiarla o meno, in altri casi è una necessità.

ew..a ha detto...

il gusto non può essere una cosa soggettiva, se una cosa è buona deve essere buona per entrambi, dobbiamo fissare parametri comuni e dare un giudizio sul gusto, non sull'eticità di quello che stiamo compiendo. per dire che un filetto di manzo al pepe verde o all'aceto balsamico è una buona pietanza, o no? poi se vediamo l'atto per quello che rappresenta, cioè privare la vita per cibare altra vita che portebbe farne a meno allora riesco a dire che nonostante piaccia al palato non lo voglio mangiare per una mia convinzione. che sia di natura religiosa, ecologista e avanti..

ew..a ha detto...

mi sono espresso male ? comunque hai già riassunto.

ew..a ha detto...

io credo che per non mangiare carne non occorra dire "mi fa schifo la crne" o "non riesco a vedere carne o sentirne l'odore"..c'è chi di sicuro non la sopporta; a me personalmente (con questo rispondo alla tua domanda) fa ancora voglia un panino allo spek o certi tipi di carne che prima mangiavo con piacere, ma noto sempre di più il distacco da queste cose; nel senso che insieme al piacere che so potrei trovare in certe pietanze abbino il fatto che con piacere ne faccio a meno per una scelta che, ora che è più radicata, ritengo largamente più valida di un semplice languorino vizioso.Voglio dire che non occorre aspettare che la carne ci sia proprio inavvicinabile per staccarsene...quello che conta, per me, è la convinzione delle proprie scelte e la voglia di vedere in una "rinuncia" qualcosa che ti gratifica. Col tempo comunque credo sia inevitabile che vedere carne o affettato o quel che si (scarpe in pelle, portafogli in pelle) darà un senso sempre maggiore di distacco e disaccordo.

Concordo quando dite che un conto è cibarsene per necessità e un conto e abusarne e adirittura creare sempre più mercato attorno a tutte le superficialità che si possono ottenere nel mangiare carne.

ew..a ha detto...

....forse polo manca (parlo per la mia esperienza)
la voglia di "sacrificare" un'abitudine che ti piace e che hai sempre avuto, in nome di un principio.
quando la fiducia e la voglia di stare attenti a questo impegno supera il sacrificio la strada è poi in discesa.

Anonimo ha detto...

...buon viaggio polo!